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Dopo due biografie romanzate (La sorella di Mozart e La strana giornata di Alexandre Dumas) che hanno riscosso notevole successo, Rita Charbonier ha deciso di cambiare registro, una scelta coraggiosa perché rappresenta sempre un’incognita, soprattutto per le eventuali reazioni dei suoi lettori, abituati a storie di genere ben diverso. Questa volta ha creato un personaggio del tutto nuovo e quindi senza che abbia pescato nei molti della storia, ovviamente questi reali e non di fantasia. Eppure, anche Elsa Puglielli – così si chiama la protagonista – assume caratteristiche di veridicità, ci sembra una presenza non astratta, ma una persona che è esistita, tanto l’afflato, che si viene a formare pagina dopo pagina, fa credere magari di averla conosciuta, oppure di avere incontrato nel corso della nostra vita una donna con identiche caratteristiche. La trama non è semplice, anzi ha quella particolare complessità che si incontra quando ci si imbatte negli oscuri meandri della psiche umana, la cui perfetta conoscenza è ancora ben lungi dall’essere completata. Elsa è fragile, ma rivela una forza interiore del tutto superiore alle attese. Eppure, quella ragazza che vive, come in una campana di vetro, in un villino periferico di una Roma fascista, stanze che odorano di chiuso, mentalità ristrette che cercano di celare un essere “diverso”, è in preda a una continua lotta per rendere propria la sua vera identità, una battaglia all’apparenza senza speranza, combattuta senza l’aiuto dei familiari che anzi, per quell’accentuato perbenismo, particolarmente stringente durante il ventennio, si vergogna e fa di tutto per dimenticarla. Questo è il libro di una donna che, fra tante sofferenze, riuscirà con l’aiuto di un medico e grazie all’ascendente che esercita su di lei Anita Garibaldi, in cui si identifica, a uscire dal girone infernale in cui ha condotto la sua esistenza, trovando ed affermando la sua autentica personalità. Forse ci voleva solo la sensibilità femminile di una scrittrice, peraltro di qualità come Rita Charbonnier, per allestire una trama che potesse riuscire facilmente comprensibile, senza incorrere nel rischio del romanzo d’appendice, da cui si salva appunto sia per lo stile, misurato e pulito, sia per il grande pregio di descrivere una psiche contorta, senza indulgere al sensazionalismo, al dramma di facile effetto o addirittura alla commozione ricercata e pretesa. Come ho già scritto sopra, Elsa vincerà la sua battaglia, ma non voglio dirvi come e quando: sta a voi lettori scoprirlo dopo aver amato le pagine di un libro che facilmente non si scorda.
"Il villino dei Puglielli.. entrando si aveva l'impressione di venirsi a trovare in una cripta. Stagnava ovunque un amaro odore di rinchiuso.." così la giovane Elsa, così il suo corpo, la sua mente, la sua anima imbrigliata in formalismi familiari, obblighi, veti, tutto per non destare scandalo, per non turbare l'opinione pubblica -imbolsiti uomini di regime, nobilucci intarcapecoriti, esponenti di una borghesia tacitata dall'ascesa di uomini senza merito. Ma Elsa ha vent'anni, ha mille dubbi sulla sua famiglia, o almeno quel che resta della sua famiglia: la zia Olga poco più che un cerbero rinsecchito, il fratello Michele preso dai suoi studi, dagli amici, dal bisogno di capire il suo tempo e il padre Giacinto, assente, inerme, una figura sullo sfondo. Ma qual è la colpa di Elsa sin da piccola tacciata di diversità? Una certa eccitabilità, irrequietezza, incostanza. Possibile che sia tutto da ascrivere alla sua immaginazione? A quei sogni che la spossano, che la portano lontano e che per qualche momento le regalano una vita diversa o almeno l'illusione di una vita altra, la vita forse che vorrebbe vivere, libera, determinata, finanche spregiudicata. La vita di un'eroina moderna magari, quell'Anita Garibaldi che il regime fascista si appresta a celebrare e che la stessa, piccola Elsa si accinge ad interpretare a teatro, in un farzesco, sfibrante ultimo tentativo di riconsegnarla alla normalità, privandola se mai di quella balbuzie che la attanaglia sempre più di frequente. Anita e Elsa, sogno e realtà. L'idea folle di una reincarnazione. Un sogno forzato ad occhi aperti nella ricerca di una vita mondata da segreti che pesano come macigni perché gravano sul cuore di tanti, troppi, su quelli che dovrebbero proteggerla, volerle bene, amarla a prescindere da ogni giudizio e pregiudizio, amarla come merita una ragazza di vent'anni, il cui unico segreto da celare dovrebbe essere quello di un cuore che batte per l'innamorato. Come Anita la piccola Elsa sarà coraggiosa perchè capace di cogliere l'aiuto delle scienze moderne, su tutte la psichiatria, per vedere dentro di sé, guardare in fondo all'abisso dell'animo malato e ghermire la lievità della libertà, accettare il suo essere in divenire, un potenziale da costruire giorno dopo giorno, in nulla somigliante a modelli imposti da altri -familiari, società- ma affine al suo spirito. Così in una Roma in preda al furore dell'ascesa del regime fascista scorre la storia della rinascita di una ragazza finalmente libera dal suo doppio, libera di amare ed essere amata.. follemente, ingenuamente, con totale devozione e sacrificio così come era stato tra Anita e Giuseppe Garibaldi. Un romanzo emozionate quello della Charbonnier, capace di toccare l'anima con un personaggio -quello di Elsa- triste, dolce e al tempo stesso consapevole e vivace. Una scrittura lieve, minuta, attenta in ogni dettaglio capace di spaziare dalle atmosfere lievi e trepidanti di un teatro a quelle cupe, dolorose, estreme di una clinica per malati mentali. Di più, l'autrice ha saputo dare il giusto peso all'alternarsi della doppia vita di Elsa e Anita consegnandoci sprazzi di un personaggio storico spesso relegato al ruolo di comprimario, portando il lettore al fulcro di una storia d'amore d'altri tempi, impossibile da isolare dal contesto storico.. lo stesso che in questi mesi festeggiamo, spesso con poco entusiasmo: l'unità d'Italia, unità per cui uomini e donne, donne speciali come Anita persero la vita. Un sogno lungo anni.. e anni alfine concretizzato.
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