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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2019
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Ho preso questo libro per partecipare al "gruppo di lettura day" del 01 dicembre 2017. Personalmente ho abbastanza apprezzato la storia fino alla nascita del "cittino", dopo di che la testardaggine e l'ignoranza della voce narrante (nonché autrice del libro) mi ha parecchio urtato per le scelte prese, decisioni in netta contrapposizione a ciò che era stato raccontato e detto fino a quel momento. Al Circolo di Lettura c'erano donne che avevano avuto figli e cani, solo figli, solo cani o nessuno dei due; la maggior parte di noi è stata d'accordo sul non aver apprezzato la trama del libro. E' scritto molto bene, la professionalità della Petri è tangibile, ed è stato anche l'unico motivo per il quale tutte noi siamo giunte alla fine del libro; ma la storia non ci ha preso mai del tutto, anzi una del gruppo ha addirittura solo sfogliato il romanzo. Non conosco il lavoro della Petri, ma credo di essere l'unica del Circolo che vorrebbe leggere un suo altro libro per poter valutarne le capacità. Qui si è vissuta un'autobiografia, con tutto ciò che questo comporta. Altra cosa su cui eravamo tutte concordi era il fatto che il filo conduttore di tutto il romanzo fosse che la voce narrante (perché il protagonista è chiaramente Osac) manifestasse la sua incapacità di prendere decisioni e si lasciasse travolgere dagli eventi. Come mai non ha provato ad addestrare Osac? Perché non si è informata sui vari metodi per far conoscere il bambino al cane? Ulteriore informazione che se ne ottiene è che la scrittrice ha amori totalizzanti e unici: prima il cane era tutti per lei, poi il "citto" e mai insieme. Anche con la Vedova è stata egoista portando Osac a casa e quindi togliendole l'amore che le stava dando fino al giorno prima. Personalmente mi chiedo: che scopo aveva questo libro? Qual'è il punto? Qual'è il messaggio che doveva arrivare? L'organizzatrice del Circolo ci ha letto un'intervista dove Romana Petri dice che avrebbe voluto scrivere tutto in linguaggio canino: forse lo avrei preferito, magari con traduzione a fronte, perché la parte più bella del libro per molte è stato il capitolo finale in "cagnese". Per il linguaggio forbito e la competenza lessicale è un libro che consiglierei, per la trama no. Buona lettura.
Il cane selvaggio e indomabile vale accettazione di una dimensione epica ed eroica della vita, come lo era stato il ciclone paterno di Romana Petri? Come rinuncia a questa dimensione, dopo la maternità agognata e vissuta con altrettanto selvaggio eroismo, e con drammatica partecipazione, così convinta e risoluta da consentire all'autrice di superare l'infatuazione per l'indomabile, fino a mutare i propri sentimenti, sostituendo con la propria l'animalità a questo punto troppo preponderante e dominante di Osac? Un transfert dell'amore paterno (per il padre, tradito, e per certi aspetti, forse, traditore)?
La capacità di piegare la lingua italiana alle esigenze del racconto, la ricchezza e la raffinatezza del lessico della scrittura di Romana Petri, la sua abilità nella costruzione di un pathos leggero ma costante che obbliga il lettore ad essere parte della storia, sono note e comprovate. La descrizione di Osac, la costruzione di questo personaggio che appartiene alla sfera mitica e arriva dalle profondità della Terra, sono davvero un grande successo. Lo stesso vale per le immagini che hanno a che fare con la maternità, a cominciare da quel parto così ‘selvaggio’, e l’idea della maternità in divenire, per cui la madre si modella sui cambiamenti del figlio da quando partorisce in avanti, come gli argini di un fiume, è commovente anche per chi di maternità ed istinti materni non sa nulla. Non è necessario essere amanti dei cani (anche se la voce narrante che si rivolge direttamente al lettore presuppone che questi abbia un cane o voglia averlo o capisca chi ce l’ha) o essere madri (e nemmeno donne, a ben vedere) per poter apprezzare questo romanzo che somiglia tanto ad un memoir nella forma (i riferimenti autobiografici sono piuttosto evidenti all'interno della finzione, ma non hanno particolare significato). La voce narrante si rivolge direttamente al lettore in più occasioni: a volte sembra la voce del narratore di Pinocchio, d’altra parte questa è una storia di un cane che è quasi un archetipo; a volte coinvolge il lettore in riflessioni personali che sicuramente saranno condivise soprattutto dagli amanti degli animale; a volte sembra proprio quasi una confessione senza filtri. La voce narrante instaura dal principio un legame con lettore e ne conquista la fiducia. Certo, i romanzi che girano intorno a cani ed altri animali si sono moltiplicati a vista d’occhio, ma qui Petri sposta il personaggio (perché Osac tale è da considerare) su un livello molto elevato, introducendo anche il tema del legame esclusivo tra un essere che si affida e l’essere che promette di essere affidabile, che è in fondo anche una delle cifre della maternità, l’altro grande ‘ambito’ del romanzo. Giustificatissimo il richiamo a Il richiamo della foresta (il Klondike del titolo), perché Osac e Buck sono fratelli di pelliccia, ma c’è pure la maternità, che sembra arrivare improvvisa. Eppure c’è un filo roso che cuce insieme la selvaticità, la forza della natura che pervadono Osac e la modalità con cui la sua padrona affronta la gravidanza, il parto, la maternità: entrambi, in un certo senso, pertengono al mito. E il finale è una vera sorpresa, c’è la forza di Osac in quelle parole dure e masticate, ma solo quando ci arriverete ne comprenderete la potenza letteraria (nonostante io lo abbia letto nella copia staffetta!)
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