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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2018
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La saga appassionata e coinvolgente di un'antica famiglia ebraica, i Mani, si dipana a ritroso nel tempo strappando al passato le voci.
Dal giovane Efraim, soldato israeliano di stanza in Libano nei primi anni Ottanta, al patriarca Abraham vissuto nell’Atene di metà Ottocento, i diversi «signor Mani» sfilano nella storia e si trasmettono di padre in figlio una tragica eredità. Può un uomo spezzare la catena che lo lega al passato e al futuro? Può annullare la propria identità? Yehoshua mette in scena cinque dialoghi in cui di volta in volta una voce diversa ci guida verso i molti misteri di un’intero popolo e di una famiglia animata dall’utopia della pace.
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Attraverso 5 dialoghi a ritroso nel tempo, Yehoshua ricostruisce le personalità dei signori Mani che si sono succeduti da metà Ottocento ad oggi. Come sempre, l’autore è bravissimo nel suo stile e questa volta sceglie di raccontare attraverso dei dialoghi preceduti e seguiti da note biografiche che ti permettono di ricostruire tutta la vita dei protagonisti. Molto interessante è poi la scelta di costruire un dialogo dove viene riportata solo la voce di un protagonista, mentre dell’altro possiamo solo intuirne le eventuali domande e interruzioni. Questo fa si che più che un dialogo, sembra un lungo monologo. I Signori Mani sono personaggi molto interessanti, in alcuni ritroviamo tratti comuni (come l’istinto suicida) pur essendo lontani nel tempo e in posti diversi. Molto bello il secondo e l’ultimo dialogo che affronta il tema dell’essere ebreo: nel primo caso durante l’occupazione nazista a Creta un ebreo cerca di salvarsi sostenendo di aver “annullato” la propria essenza di ebreo mentre nell’altro ambientato nell’ottocento troviamo un ebreo che a Gerusalemme vuole far ricordare di essere ebreo a chi lo ha dimenticato (come gli arabi e i cristiani). Bellissimo!
La storia del giovane ebreo Efraim Mani, soldato impegnato nella guerra di Libano nei primi anni ottanta, da il via ad un affascinante viaggio a ritroso nel tempo che, attraverso le vite dei suoi antenati giunge fino al 1799, anno di nascita del patriarca Abraham, commerciante di spezie e vice-rabbino. Spaziando tra Europa e Medio Oriente e rivivendo gli importanti eventi storici che hanno caratterizzato gli anni in questione, la delicata penna di Yehoshua offre un pregevole ritratto di una famiglia tormentata da un difficile destino, in un mondo accanito in una continua e inarrestabile guerra per il dominio politico, economico e religioso. Ottima l’analisi psicologica dei protagonisti, ammalianti le descrizioni dei luoghi, da Creta, culla della civiltà, a Istanbul, baluardo sacro per l’incrocio delle razze degli uomini, ad una spirituale Gerusalemme, il cui solo nome è di per sé più grande di qualsiasi edificio, moschea, muro o chiesa. Originale la tecnica narrativa usata dall'autore, che ci presenta i Mani attraverso le parole di chi li ha conosciuti, con un dialogo-monologo di cui ci pervengono solo le parole della voce narrante e non anche quelle del suo interlocutore. E così è la giovane Hagar ad iniziare questo viaggio parlando con sua madre di Efraim, il suo fidanzato, che si trova a combattere ancora sul fronte libanese nonostante un trattato di pace già firmato tra Gerusalemme e Beirut, e del Signor Mani, padre del ragazzo e aspirante suicida. È poi il turno del militare tedesco Egon che, durante la seconda guerra mondiale conosce a Creta l'esiliato politico Josef Mani e suo figlio, rispettivamente bisnonno e nonno di Efraim, che cercano di annullare il proprio essere ebrei per sfuggire alle persecuzioni naziste. Tocca poi a Horovitz, tenente inglese incaricato di indagare su un caso di spionaggio a Gerusalemme sul finire della prima guerra mondiale, farci conoscere meglio Josef e spiegarci le ragioni del suo esilio. Ci si sposta quindi a Cracovia, nell’ultimo anno del diciannovesimo secolo, dove il dottor Efraim Shapiro ci presenta il padre di Josef, il ginecologo Moshè, che ha conosciuto durante il III Congresso sionistico e seguito fino a Gerusalemme. Solo nel quinto e ultimo dialogo la parola è affidata ad un membro stesso dei Mani, il patriarca Abraham, nonno di Moshè, che nell’Atene del 1848 scossa dalla ribellione del popolo greco contro i dominatori turchi, narra l'inquietante e torbida storia della morte del suo unico figlio maschio. Cinque dialoghi, due secoli di storia, sette generazioni di una famiglia che, come il popolo cui appartiene, sembra impegnata in una eterna ricerca di un’identità, di una stabilità e di una pace che appaiono sempre più difficili da trovare.
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