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«Bisogna che accada qualcosa, è questa la spiegazione della maggior parte degli impegni che gli uomini assumono.»
Clamence, un brillante avvocato parigino, abbandona improvvisamente la sua carriera e sceglie come quartier generale un locale d'infimo ordine, il Mexico-City, ad Amsterdam. Presa coscienza dell'insincerità e della doppiezza che caratterizza la sua vita, Clamence decide di redimersi confessando e incitando (per sincerità, per virtù, per il gusto della dialettica) gli occasionali avventori della taverna portuale a confessare la loro «cattiva coscienza». Ma non bisogna lasciarsi ingannare: Clamence non si redime. L'eroe di Camus secondo le sue stesse parole «percorre una carriera di falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne».
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Non si tratta di un romanzo bensì di un monologo del protagonista. Jean-Baptiste Clamence è un brillante avvocato parigino amato e stimato dai suoi conoscenti. Ad un certo punto si rende conto che in realtà la sua vita è incentrata solamente su stesso e non è il filantropo che crede di essere. La sua vita è divisa da due maschere: una in pubblico dove appare un uomo virtuoso e un'altra nella vita privata dove vive un'esistenza frustrata e fittizia. Consapevole di questo dualismo esistenziale, decide di abbandonare il suo lavoro e si trasferisce ad Amsterdam. Giunge nel bar "New Mexico", dove diventa una sorta di "falso profeta". Falso perchè non diventa una persona migliore, ma semplicemente indossa una compassione puramente di facciata, una sorta di giudice-penitente. Confessa le proprie colpe agli uditori che incontra nel bar e allo stesso tempo costringe gli stessi a confessare le loro affinchè la propria redenzione avvenga attraverso l'ammissione della stessa colpevolezza da parte dell'umanità intera. Un breve monologo tuttavia permeato da un'intrispezione a tratti esasperante che induce a riflettere sul tema del copione e della doppiezza di personalità che si vive all'interno della società. Non do 5 stelle perchè a tratti pecca di scarsa scorrevolezza.
I romanzi di Camus sono lo specchio della sua filosofia esistenzialista: attraverso i suoi personaggi si scoprono i dettagli e le sfumature del suo pensiero. Anche ne "La caduta" l'autore descrive, con un monologo, la realtà psicologica di chi parla e il suo l'approccio a una vita assurda.
La caduta, più che un romanzo, è un lungo monologo del protagonista, J.B. Clamence, avvocato parigino di successo che all’apice della sua carriera lascia tutto e si trasferisce ad Amsterdam, facendo del Mexico-City (infimo locale della periferia) il suo nuovo quartier generale. Si definisce un giudice-penitente ed è presto spiegato il perché. La sua vita a Parigi è molto intensa, la sua carriera brillante, il successo e la fama non lo abbandonano, i clienti (meglio, i delinquenti da difendere) non mancano affatto, di notte la vita dissoluta e le molteplici storie parallele si incastrano perfettamente con il dovere e gli impegni. Il tutto a mantenere salda ed efficiente la facciata sociale dell’avvocato Clamence che nasconde un enorme voragine della sua personalità, un bifrontismo di cui si accorge lui stesso (pur avendone captati gli indizi da sempre) una notte, passeggiando lungo la Senna. Da quell’episodio inizia “la caduta” inarrestabile di Clamence, la presa di coscienza e la perdita di controllo sulla sua vita perfetta, la facciata inizia a scricchiolare e seguono vari tentativi di trovare un compromesso con se stesso per arrestarla quella caduta e tornare ai suoi tanto desiderati e vissuti “piani alti” della vita. Si trasferisce dunque ad Amsterdam con lo scopo apparente di alleviare le “confessioni” altrui e col vero obiettivo di trovare un compromesso con la nuova consapevolezza di sé. Il compromesso si rivela essere l’inversione di ragionamento data dal diventare “penitente”, confessando per primo i propri errori e le proprie ipocrisie per poter tornare ad essere giudice degli altri, essendosi guadagnato in questo modo la superiorità di poterli giudicare in quanto migliore per essersi redento (teoria dell’assurdo di Camus). Qui risiede l’inganno. Clamence non si redime davvero e il suo agire si rivela (forse) un escamotage del proprio grande ego per tornare nuovamente allo scoperto, come un tempo, ma attraverso una via diversa e soprattutto per spazzare via quelle risate di scherno che di tanto in tanto sembrano far capolino nella sua testa e che mal sopporta. Il finale sconcertante e direi clamoroso conferma il suo percorso personale al ribasso, fatto di sottile manipolazione altrui, bypassata per dialettica. Personalmente ho visto nel protagonista tutti i tratti tipici e inquietanti della complessa personalità di un narcisista superiore che pur di non scomodare la “creatura” in risalita dai propri abissi interiori ha trovato nel comportamento da narcisista-vittima un modo sofisticato per ricomporre il proprio ego e continuare a “sopravvivere”. Testo scorrevole, tema delicato presentato su un piano filosofico a tratti ma decisamente da leggere. Il mondo è pieno di J.B Clamence, consapevoli o meno della propria vera natura, ma il merito di Camus è quello di averne esplorato certe dinamiche in un periodo storico in cui questa “razza” non era affatto scontato che potesse essere riconosciuta così.
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