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ho letto “L’Italia contesa” e ho molto apprezzato la prima parte del saggio (Venti anni dopo, pp. 5-30, e Una certa idea d’Italia, pp. 33-58): l'analisi di Schiavone del fenomeno del berlusconismo mi sembra assai acuta e quasi totalmente condivisibile. L’unica obiezione riguarda la scarsa attenzione evidenziata dall'Autore per il geniale uso berlusconiano di immagini e simboli, che loa induce a sottovalutare il potere straordinario delle corazzate mediatiche del presidente del consiglio. A questo proposito, mi sembra quantomeno inquietante che l'idea di Schiavone secondo cui le televisioni di Berlusconi non avrebbero affatto giocato un ruolo fondamentale nella berlusconizzazione del Paese (p. 35) coincida sostanzialmente con quanto dichiarato in più occasioni da Fedele Confalonieri e da altri autorevoli esponenti di Mediaset e del PDL. Meno stimolante, e anzi assai deludente, mi è invece sembrata la pars construens del testo (La nuova politica, pp. 61-90): la lettura dei processi della globalizzazione è assolutamente banale e non affronta neppure superficialmente i grandi nodi economici, sociali e politici del fenomeno. Quanto alle proposte, esse appaiono un mix micidiale di ‘nuovismo’ di occhettiana (e sciagurata) memoria (‘un nuovo inizio’: p. 77), di velleitarismo umanistico (‘un nuovo umanesimo’: p. 89), e di ridicolo e inopportuno moralismo, tanto più perché proveniente da un noto esponente del mondo accademico italiano: un mondo che, negli ultimi venti anni, non ha certo dato luminosi esempi di etica e di moralità. Ma quello che più colpisce è soprattutto il maldestro tentativo di fare i conti con la tradizione della sinistra italiana ed europea, alla quale viene appunto opposto un vago progetto new age. D’altra parte, la cosa più usuale del mondo, in questi tempi in cui tentenniamo alla cieca, è di scontrarci, svoltando l’angolo più vicino, con uomini e donne nella maturità dell’esistenza e della prosperità, i quali, essendo stati ai diciott’anni, non solo le ridenti primavere dello stile, ma anche, e forse soprattutto, esuberanti rivoluzionari decisi a rovesciare il sistema dei padri e metterci al suo posto il paradiso, beh, della fraternità, si ritrovano ora, con una fermezza per lo meno uguale, impoltroniti in convinzioni e prassi che, dopo esser passate, per riscaldare e rendere più flessibili i muscoli, per una delle tante versioni del conservatorismo moderato, hanno finito per sfociare nel più sfrenato e reazionario egoismo. In parole non tanto cerimoniose, questi uomini e queste donne, davanti allo specchio della propria vita, sputano tutti i giorni sulla faccia di quel che sono stati lo scaracchio di ciò che sono. Marco Di Branco
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