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Quando uscì in Inghilterra nel 1714, Il riccio rapito vendette oltre tremila copie in soli quattro giorni e in breve invase anche il continente facendo innamorare di sé l’Europa intera. Questo poemetto eroicomico, qui proposto nella deliziosa traduzione di Viola Papetti, ha ancora oggi tutte le doti per incantare: in un trionfo di precisione e grazia mondana, la lingua di Pope, sovranamente leggera, racconta storie di riccioli, gemme, profumi, pettini, spille e giarrettiere in una satirica trasposizione di narrazioni epiche. È un mondo etereo, mirabilmente frivolo, dove gli oggetti della quotidianità si confondono con spiriti dell’aria, folletti, silfi, ninfe e gnomi e a cui solo le incisioni di un genio come Beardsley potevano rendere giustizia.
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Parlare di quest’opera è assai complesso se non la si contestualizza o non la si pone in relazione con l’ampio repertorio letterario a cui si ispira. Iniziamo con il dire che gli eventi narrati prendono spunto dalle vicende avvenute all’interno della società londinese nel 1712, quando Il barone Petre recise una ciocca di capelli ad Arabella Fermor, fanciulla con la quale avrebbe dovuto fidanzarsi. Dopo tale affronto le due famiglie, fino allora in buoni rapporti, iniziarono a scontrarsi e annullarono ogni possibilità di unione tra i due giovani. A tale scandalo assistette John Caryll, caro amico di Pope, il quale gli raccontò l’episodio esortandolo a scrivere qualcosa sull’accaduto. Dopo una prima pubblicazione, prontamente tolta dalla circolazione, nasce così il poema epico che conosciamo oggi. La domanda più immediata è: come può uno screzio di così poco conto essere narrato con gli stessi toni dei poemi omerici? La risposta risiede proprio nell’ironia di cui l’autore si serve accostando situazioni di grande importanza ad altre puramente frivole. È secondo questa logica che gli elementi epici subiscono un brusco abbassamento: la discesa nell’oltretomba diventa la visita di uno gnomo alla cava della malinconia, i costumi sociali includono la cerimonia del caffè, le armi descritte sono ventagli, la battaglia è una battaglia a carte e la preparazione dell’eroe viene sostituita dalla preparazione di Blinda, l’eroina di fronte allo specchio. Oltre ai contenuti il sarcasmo si insidia anche nel linguaggio ricco di figure retoriche, primo fra tutti lo zeugma (accostamento di due elementi di importanza contrastante al fine di sottolinearne l’assurdità) tramite il quale la perdita dell’onore è paragonata a quella di un gioiello. Inoltre, l’enorme conoscenza letteraria di Alexander Pope, contribuisce a rendere il testo ricco di rimandi alle sacre scritture, la figura di Berenice è infatti per certi versi accostata a quella della Vergine.
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