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La storia delle migrazioni viste attraverso la macchina da presa. A condurci in questo viaggio sono Andrea Corrado e Igor Mariottini in “Cinema e autori sulle tracce delle migrazioni” (Ediesse, 2013), dove i due autori rileggono le migrazioni attraverso le storie e le immagini che hanno popolato il grande schermo dai primi anni del Novecento fino ad oggi. Così “L’emigrante” di Febo Mari rappresenta nel 1915 uno dei tanti italiani partiti per l’America in cerca di fortuna, mentre i prodotti cinematografici usciti durante il periodo fascista ricalcano i tentativi di propaganda e di legittimazione del regime, come è stato con “Camicia nera” di Giovacchino Forzano del 1933. Il secondo dopoguerra apre invece le porte alle migrazioni interne e a quelle verso mete europee, come Svizzera e Germania, documentate, tra gli altri, da “I magliari” (1959) di Francesco Rosi e da Luchino Visconti con il celebre “Rocco e i suoi fratelli” del 1960. Gli esempi sono molti, così come gli argomenti trattati: dalla descrizione della precaria realtà economica, alle aspettative dei migranti, ai problemi di integrazione, con toni a volte anche comici, per mettere in luce difetti e stereotipi di chi accoglie e di chi spera nell’accoglienza. Un modo, quello messo a punto dagli autori del testo, per rintracciare i segni della trasformazione sociale e culturale di un paese come il nostro che da terra d’emigrazione è diventato oggi mèta di arrivo. A descriverci il nuovo scenario sono, per citarne alcuni, Matteo Garrone con “Terra di mezzo” (1996), Marco Tullio Giordana con “Quando sei nato non puoi più nasconderti” (2005). Emanuele Crialese in “Terraferma” del 2011. Una trasformazione ancora in fase di elaborazione, così come quella del cinema italiano che negli ultimi anni ha cominciato a descrivere la figura del migrante attraverso la sua stessa voce e i suoi occhi, per cercare di comprendere meglio la sua storia e, allo stesso tempo, quella di noi stessi.
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