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Warburg è apparso ora come il nobile fondatore di uno specifico metodo interpretativo delle immagini, l’iconologia, però presto tradito dai suoi successori, primi fra tutti Panofksy e Saxl, ora, secondo la battuta di Robert Klein, come il padre di una disciplina che, a differenza di tante altre, esiste ma non ha nome. Il presente lavoro si propone di abbracciare e sviluppare un’ipotesi che elude tanto la prima quanto la seconda attribuzione di paternità: più che inventare un metodo o fecondare una disciplina che ancora aspetterebbe il suo battesimo, Warburg, sulla scia di Burckhardt e Nietzsche, si è collocato all’interno di una tradizione di pensiero il cui nome è morfologia, e la cui ascendenza è goethiana. A Goethe, ai suoi studi naturalistici e alla sua parallela prassi artistica, risalgono infatti i concetti di polarità, di tipo e di fenomeno originario che, variamente metabolizzati da Warburg (in primo luogo grazie alla celebre categoria di Pathosformel), costituiscono l’inequivocabile fondo morfologico della sua serrata interrogazione al mondo delle immagini, che chiede conto della loro genesi, della loro funzione, del loro rapporto con la memoria collettiva, del loro destino, della loro intrinseca ambiguità. Tale paradigma morfologico e tipologico convive e confligge in Warburg con un paradigma storico e cronologico: tenere insieme, problematicamente, questi due paradigmi è un compito che si può riassumere in una formula, la cui brevità è pari solo alla complessità dell’impresa: comprendere come un fenomeno storico possa essere, al contempo, anche trascendentale. Al modo in cui Warburg ha cercato di corrispondere a tale compito, ai dualismi che hanno al tempo stesso guidato e minacciato alle fondamenta il suo tentativo, questo libro è dedicato.
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