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Al di là di ogni genealogia critica e di qualunque tassonomia letteraria, al di sopra d'ogni geometria di grandezze e primati e scuole, la poesia di Eugenio Montale incarna il mistero di un compiuto «linguaggio» metafisico che non tramonta. Il perfetto clamore dei suoi versi sussurrati, la musica «analogica» che da essi promana, scandiscono le più semplici realtà, carpiscono alle cose la loro essenzialità, raccontano le sensazioni del mondo trasformandosi in un pensiero «petroso», solido e vero.In questo breve quanto intenso saggio, dedicato alla celebre composizione del 1925, Angiola Ferraris scompone e ricostruisce i paesaggi montaliani con grande sicurezza filologica, in un gioco sapiente di rimandi formali e interpretativi che ne raccontano tutta «la ricchezza d'invenzione e di canto». Nella filigrana delle rime e dei modi si svela così non solo «l'eterno grembo» della poesia, ma compare la trama straordinaria e sottile dei legami che innervano l'universo poetico di Montale, dove le dissonanze di Debussy rincorrono i colori di Kandinskij, e le «celesti» tonalità mozartiane si combinano con la poesia di Eliot e Cavalcanti, Pound e Mallarmé, Valéry e Dante Alighieri.
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