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Vittorio Emanuele III (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947) è stato l’ultimo re d’Italia e anche per questo motivo il noto biografo Antonio Spinosa non poteva esimersi dallo scriverne la vita, tanto più che il personaggio è stato un elemento chiave della storia italiana del XX secolo. Succeduto al padre Umberto I, assassinato a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci, questo re sgraziato, di bassa statura, con le gambe gracili, frutto di un matrimonio fra consanguinei, regnò per ben 46 anni e in questo lungo arco di tempo gli eventi e i fatti importanti furono parecchi, a cominciare dalla guerra per la conquista della Libia, poi venne la denuncia della Triplice Alleanza, il trattato sottoscritto dal padre con Germania e Austria, con pressochè contestuale passaggio alla Triplice Intesa, i cui membri Francia, Inghilterra e Russia erano già in guerra con gli imperi centrali, conflitto che vide la nostra partecipazione con modeste vittorie e sonore sconfitte (cfr. La disfatta di Caporetto), ma che riuscimmo tuttavia a concludere vittoriosamente. Già questi accadimenti sarebbero notevoli nella vita di un monarca, ma ve ne furono anche altri, forse più rilevanti; infatti, se non ne fu l’artefice, pur tuttavia collaborò all’affermazione del fascismo, visto probabilmente come un male minore rispetto al nascente bolscevismo. Vittorio Emanuele non amava Benito Mussolini, che ricambiava allo stesso modo, ma si instaurò, a beneficio di entrambi, una diarchia che, fra alti e bassi, durò circa una ventina di anni. Nell’interessante biografia di Spinosa si pone l’accento su questa reciproca disistima, evidenziando che il re, ligio ai doveri costituzionali, cercò più volte di defenestrare il Duce con metodi democratici, prendendo spunto da un fatto che potesse costituire il casus belli per una votazione parlamentare, almeno fino a quando vi fu un parlamento legittimo. Strano a dirsi, non fu mai trovata, o non si volle trovare l’occasione, e invece ci fu un momento in cui i due governanti furono completamente d’accordo, con il re commosso ed emozionato, il che accadde quando, a seguito della vittoriosa guerra d’Etiopia, fu proclamato imperatore. La vanità quindi prese il sopravvento su una supposta azione di contrasto al fascismo che in effetti non avvenne mai, nemmeno quando l’avvicinamento più che amichevole di Mussolini a Hitler faceva presagire un’imminente guerra almeno a livello europeo. Vittorio complottava con il genero del Duce, il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, notoriamente anti tedesco, ma più che qualcosa di serio sembrava un gioco, tanto che, benchè contrario allo scontro armato e dopo molto aver tergiversato, il re si risolse, visti gli esiti favorevoli ai nazisti dei primi mesi del conflitto, a firmare la dichiarazione di guerra sottopostagli da Mussolini. E’ notorio che il dittatore, pur consapevole delle rilevanti deficienze delle nostre forze armate, temeva che un ritardo nel nostro ingresso nel conflitto, reclamato a gran voce dai generali al fine di potersi preparare, avrebbe pregiudicato le nostre rivendicazioni territoriali, per cui visto come andavano bene le cose, come ebbe a dire Mussolini sarebbe bastato sedersi al tavolo della pace con qualche centinaio doi morti per evitare di lasciarsi sfuggire un’occasione di gloria più unica che rara. Il re, che era un po’ un Don Tentenna come il suo predecessore Carlo Alberto, cominciò pure lui a sognare un altro po’ di grandezza e fini che così ci imbarcammo nella tragedia della seconda guerra mondiale. Tuttavia, le sconfitte nei territori oltre il suolo patrio e poi l’invasione della Sicilia spensero del tutto gli entusiasmi e così si cominciò a complottare per togliere di mezzo Mussolini; Vittorio aveva un suo piano, sempre pronto, ma mai utilizzato, e fu costretto a ricorrervi quando fu il Gran Consiglio del Fascismo a licenziare il duce. Poi, la vicenda è nota, con l’ex dittatore convocato da re, arrestato, trasferito in vari posti, ultimo il Gran Sasso, le trattative segrete con gli alleati per addivenire a un armistizio, mal preparato non solo da parte degli americani e degli inglesi, ma anche degli italiani, tanto che l’8 settembre 1943, quando fu proclamato, nessun militare italiano sapeva esattamente come avrebbe dovuto comportarsi con i tedeschi ex alleati. Inoltre, fatto altrettanto grave, la ignominiosa fuga del re a Brindisi, di cui si cerca dare una giustificazione poco convincente, secondo la quale sarebbe stato l’unico modo di avere nel nostro paese ancora un governo legittimo, non asservito ai tedeschi. Spinosa è bravo e fornisce delle interpretazioni degli eventi più importanti, interpretazioni che a volte non mi vedono d’accordo, perché troppi fatti mostrano che Vittorio Emanuele era un pavido e quindi le sue decisioni furono spesso dettate dai timori per la sua sorte, con lo Stato che veniva sempre e comunque in secondo piano. Pur tuttavia, desta un senso di pietà la figura descritta nelle ultime pagine, con questo ex re in esilio in Egitto che trascorreva mestamente le sue giornate, magari uscendo con la moglie su una barchetta a remi, onde pescare, grande passione di entrambi. Credo peraltro che sia opportuno precisare che, sebbene a volte non in accordo con Spinosa, il mio giudizio su questa biografia sia ampiamente positivo, trattandosi di un’opera frutto di un lavoro meticoloso, ben scritta, per nulla greve e che ha il grande pregio di rappresentare la storia dell’Italia nella prima metà dello scorso secolo.
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