(Parigi 1910-86) scrittore e drammaturgo francese. Dopo un’adolescenza e una giovinezza irregolari (fu in casa di correzione, poi nella Legione straniera dalla quale disertò, vivendo poi di espedienti e venendo più volte incarcerato), pubblicò una serie di libri che rispecchiano crudamente le sue esperienze. Narrazioni autobiografiche come Nostra Signora dei Fiori (Notre-Dame-des-Fleurs, 1944), Miracolo della rosa (Le miracle de la rose, 1946), i versi di Il condannato a morte (Le condamné à mort, 1942) circolarono per anni in forma anonima e clandestina. Un successo, di scandalo e di prestigio insieme, raggiunse poi G. con il Diario del ladro (Journal du voleur, 1949) e con alcuni testi teatrali: Le serve (Les bonnes, 1948), Il balcone (Le balcon, 1956), I negri (Les nègres, 1958), I paraventi (Les paravents, 1961). Nel 1986 uscirono l’autobiografico Il prigioniero amoroso (Un captif amoureux, nt) e l’inedito lavoro teatrale Elle (del 1956), seguiti nel 1993 da un’altra pièce dimenticata, Splendid’s. Il teatro di G. esprime con immagini oniriche una protesta e una provocazione sociale. Popolato di paria e proscritti, prostitute e ladri, si fonda sul tema del teatro nel teatro, sul fascino della profanazione e della morte, sul gusto del cerimoniale. Molti critici hanno sottolineato in esso un certo dilettantismo. Come sempre nel caso degli scrittori iconoclasti, l’opera di G. resta avvolta da una fondamentale ambiguità: si può anzi dire che il saggio di Sartre (Santo Genet commediante e martire), cui l’autore deve in buona parte la sua successiva fortuna, inauguri appunto tale doppio registro, glorificando congiuntamente, con maliziosa dialettica, una primitiva «ingenuità» e un riflesso e ragionatissimo mimetismo da grande guitto. Colpisce, in effetti, il singolare rapporto di G. con i maestri antichi e recenti dell’eversione, lungo una linea che da Sade si può spingere sino ad Artaud: un rapporto nutrito dal dato culturale, ma che sembra ab initio prescinderne completamente. Astuzia e innocenza sono le due leve simultanee di uno scrittore la cui denuncia sociale è autotrascesa sino alla pura felicità verbale e alla fanciullesca libertà dell’immaginazione.