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E’ stata una gran bella lettura. Ci sono i racconti di guerra, i racconti delle Langhe e i racconti fantastici. Quelli di guerra sono emozionanti per l’umanità che contengono e riflettono il maremoto interiore del ragazzo Beppe sulle colline, fra ragazzi di quindici e vecchi di trent’anni. La testa del ragazzo risuona di domande – smetterà di piovere? – c’è qualcosa da mangiare? – vedrò la fine della guerra? -perché lui è così feroce e spietato? - che c’è dietro la curva? - perché l’ammazzano se prima gli sorridevano? - perché sono capitato qui? – e soprattutto -- perché lui muore e io vivo? - Il risultato non è per niente apologetico: è un distillato di onestà intellettuale ed è per questo che mi piace. Leggendo si sente la polvere di quando è secco e si corre a bocca aperta e d’inverno la pioggia gelata nella maglia e il fango nelle scarpe. Fenoglio, come Primo Levi, ebbe grosse difficoltà editoriali, nonostante l’eccellenza della sua letteratura. Probabilmente per l’eccesso di sincerità e la mancanza di allineamento a sinistra; inoltre si riteneva che la gente dopo aver seppellito i morti avesse voglia di pensare ad altro. Dovrei dunque andare a vedere cosa si pubblicava nel dopoguerra. Comunque, quello che non viene metabolizzato fa male sia al corpo che alla mente e allora si passa ai racconti del dopoguerra. I racconti delle Langhe sono più amari, facciamoci coraggio. Perché dopo la guerra si pensa d’aver toccato il fondo e non è così. Dopo, non si riesce a tornare a una vita normale, perché si è presa la piega del sangue alla testa, dell’ozio necessario per smaltire il picco di adrenalina, perché prima nella migliore delle ipotesi si seguiva il leader naturale (sennò neanche quello) e ora si dovrebbe entrare in ditta quando suona la sirena. Fra i racconti delle Langhe quelli che mi piacciono di più riflettono l’esistenza in sé stessa della gente nei borghi in collina: Alba in confronto sembra una metropoli dove andare a occhieggiare il sabato sera le ragazze coi vestiti a fiori sotto il ginocchio, i bar spaziosi con gli specchi con cornici dorate, un po' inclinati, come si usava. Sono bellissimi, dovrei passarli in rassegna tutti e si travalica lo spazio di un commento. La gente in campagna invecchia presto, in particolare le donne, spesso succubi del marito. Ma Fenoglio le descrive con grazia e nonostante le parole di sufficienza dei loro uomini mi sembra che anche loro le considerino con dissimulato rispetto, dove andrebbero a finire senza di loro. Le donne pilotano con precauzione gli uomini di famiglia per indurli a non dissipare in alcol e sigarette o al tavolo da gioco quello che guadagnano di giorno: in questo è esemplare “Ma il mio amore è Paco”, storia veridica dell’amato zio di Fenoglio. Perché in questi racconti F riversa storie di famiglia, battute fulminanti raccolte in piazza, racconti di paese, una raccolta che sarebbe importante anche in sé stessa come documento delle Langhe anni 30-50. In questi racconti non ho assaporato tartufo o barolo, ma manciate di terra umida e prato. Non ha un cattivo sapore, magari insolito, mi piacciono le foglie. Mi hanno ricordato i paesini sui monti in Toscana e un filmino in un castagneto in cui mia mamma, giovane, mi faceva un cappellino con piccole frasche di castagno. Fenoglio racconta vari episodi di violenza, stragi domestiche, teneri suicidi, immaginate che risonanza avevano nei paesini in cima alle colline e fa dire a un medico di campagna che la gente di quei posti le malattie le aveva tutte nella testa (non tutte, c’era anche la tubercolosi). Infine ci sono i racconti fantastici. Mi sono piaciuti meno: però secondo me li hanno letti con attenzione Michele Mari (altro che Dickens) e Luther Blissett prima di scrivere Q.
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