Un'autobiografia, sincera ed affascinante, dove si parla di un'epoca leggendaria. Billie Holiday aiuta a comprendere quello che furono gli anni a cavallo delle due guerre negli Stati Uniti. Da leggere anche per chi non è amante del jazz. Unica nota stonata (è il caso di dire) è la traduzione italiana del testo, resa con un (bizzarro) approccio linguistico improntato al dialetto toscano.
"La mamma e il babbo erano ancora due ragazzi quando si sposarono. Lui aveva diciott'anni, lei sedici, io tre". Dagli slums di Baltimora ai café society di New York, dagli studi di registrazione alle galere americane, dalla violenza del razzismo subìto all'affrancamento ottenuto attraverso il successo nel mondo dello spettacolo, dalle frequentazioni eccellenti all'inferno della dipendenza dalla droga, Billie Holiday insegue sempre un sogno di dignità umana, di qualità dell'esistenza puntualmente contraddetto dalla realtà. L'unico ambito in cui questa fatica di vivere e di combattere trova sublime compimento è la musica, e tutto il mondo sa quanto la voce di Billie Holiday testimoni vertigini di sensibilità che vanno oltre le canzoni.
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ANDREA CASCONE 21 agosto 2008
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