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Anno edizione: 2007
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Boris Pasternak, uno dei più grandi poeti russi (e mondiali) del Novecento, scrisse questa breve autobiografia nel '57 in concomitanza con l'uscita del Dottor Zivago, il suo grande romanzo-capolavoro con cui vinse (ma dovette rifiutare per problemi politici) il premio Nobel. Pasternak sceglie di raccontare con inconfondibile carica poetica la propria "vita artistico-letteraria" rifiutando una mera autocelebrazione. Il vero pregio di queste brevi pagine sono infatti i ritratti di tutti i grandi artisti con cui Pasternak, uno dei pochi ad avere attraversato tutta la parabola stalinista, entrò in contatto: da un ormai anziano Tolstoj alla Cvetaeva, passando naturalmente per Majakovskij
Dal titolo ci si aspetterebbe un resoconto dettagliato della vita di Boris Pasternak, ma è lo stesso Pasternak a dirci il motivo della sua scelta proprio nella prima conclusione: “Non intendevo affatto scrivere la storia di un cinquantennio, in molti tomi e con molti personaggi... Sono partito dal centro di un ambito molto ristretto, limitandomi ad esso intenzionalmente. Basta quello che ho scritto, a illuminare come, nella mia storia personale, la vita sia diventata creazione artistica, e come questa sia nata dal destino e dall’esperienza.” Ed è proprio così, infatti, che veniamo a sapere che nasce Mosca il 29 gennaio 1890, che è affidato a delle nutrici, che saranno già loro a creargli un ambiente consono a quello che sarà il suo futuro di artista: “Ma le balie e le nutrici non sopportavano la solitudine, e quindi ci trovavamo in compagnia di gente di tutti i colori... Questo contatto con i mendicanti e le pellegrine, questa vicinanza con il mondo dei reietti, con le loro storie e con le loro isteriche esibizioni sulle vie lì attorno, mi fece provare prematuramente, e poi per tutta la vita, una sgomenta pietà per le donne, e una pietà ancora più profonda per i miei genitori che sarebbero morti prima di me e che dovevo salvare dalle pene dell’inferno compiendo qualcosa di eccezionale luminoso, senza precedenti.” Il padre, pittore, favorirà, con le sue frequentazioni, un ambiente dinamico, aperto, intellettuale, stimolante. Inizialmente Pasternak è attratto dalla figura di Aleksandr Nikolaevic Skrjabin che, con la sua musica e per il fascino che trasmette, sarà una fonte di ispirazione per ben sei anni, verso il mondo della musica, ma a un tratto Pasternak soffre per l’incapacità di eccellere nella pratica, tanto sarà dura questa sofferenza da spingerlo ad annullare completamente questa passione. Pasternak viaggia molto, studia, frequenta l’università e inizia a interessarsi di letteratura, compagni di viaggio diversi principianti e uomini di talento, la sua crescita ha come sottofondo, anche se nel testo non sono raccontate nel dettaglio, le tensioni della rivoluzione, delle guerre mondiali, delle guerre civili. Sarà Sergej Nikolaevic Durylin a farlo passare dalla passione per la musica a quella della letteratura, “riuscendo a trovare, bontà sua, qualcosa di pregevole nei [suoi] primi tentativi.” Pasternak cresce intorno a circoli letterari, accademie e simili che si vanno via via formando attorno alle case editrici. Nella sua autobiografia sono anche presenti molte descrizioni di scorci dell’epoca, piccoli ritratti molto significativi. Nella seconda parte attacca a raccontare di diversi personaggi che hanno influito molto sulla sua vita, descrivendone le qualità, le opere, il pensiero politico o la vita privata, non mancano momenti di tristezza. Il suo modo di porsi nei confronti degli altri è comunque sempre di apertura e di ammirazione, anche laddove dissente e si distacca per divergenze politiche o letterarie. Il modo di affrontare le cose appare sempre positivo, anche quando, allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale, si trova a vedere distrutte le cose cui teneva di più. Il suo bicchiere è sempre mezzo pieno, così come risulta anche dalle parole seguenti: “Nella vita, perdere è più necessario che acquistare. Il grano non germoglia se non muore. Bisogna staccarsi, guadare avanti e nutrirsi delle riserve vive elaborate dall’oblio in collaborazione con la memoria.” Non mancano pagine di tristezza avendo visto morire per suicidio molti dei suoi amici letterati, e anche in questo caso trova una giustificazione: “Chi giunge alla determinazione del suicidio mette su se stesso una croce, volge le spalle al passato, dichiara fallimento, annulla i ricordi. I ricordi non possono più raggiungerlo, salvarlo, soccorrerlo. La continuità dell’esistenza interiore è spezzata, la personalità è finita. Forse, tutto sommato, ci si uccide non per tener fede ala decisione presa, ma perché è insopportabile questa angoscia che non si sa a chi appartenga, questa sofferenza che non ha chi la soffra, questa attesa vuota, non riempita dalla vita che continua.... Ma tutti costoro hanno patito pene inenarrabili, al punto in cui il senso dell’angoscia diventa psicopatia. Inchiniamoci non solo al loro ingegno, alla loro luminosa memoria, ma anche alla loro sofferenza.” Tra i letterati dedica attenzione anche a Cvetaeva sottolineando come all’inizio avesse sottovalutato la sua bravura, ma una volta riconosciuta avesse intrattenuto con lei un intenso rapporto epistolare. Un po’ di rammarico quando racconta delle perdite delle lettere della Cvetaeva: “Eravamo amici. Di lei conservavo un centinaio di lettere, risposte alle mie. Perdite e smarrimenti - già dissi - hanno avuto un gran posto nella mia vita; eppure, mai avrei immaginato come si sarebbero perse, un giorno, queste lettere preziose, che custodivo gelosamente. La loro fine fu dovuta proprio alla troppo gelosa cura nel conservarle. Negli anni della guerra e dei miei frequenti viaggi per raggiungere la mia famiglia sfollata, un'impiegata del Museo Skrjabin, grande ammiratrice della Cvetaeva e mia grande amica, si offrì di custodire queste lettere, insieme a quelle dei miei genitori e ad alcune di Gor'kij e di Rolland. Ripose queste ultime in una cassaforte del Museo, ma dalle lettere della Cvetaeva non volle separarsi, e sempre le portò con sé, non fidando nella solidità delle pareti della cassaforte. Abitava tutto l'anno fuori città, e ogni sera si portava le lettere a casa, in una borsa da viaggio, e tutte le mattine, recandosi al lavoro, le riportava in città. Una volta, d'inverno, tornava stanchissima a casa. A mezza strada dalla stazione, nel bosco, si accorse di aver lasciato la borsa con le lettere sul vagone del treno elettrico. Così le lettere della Cvetaeva partirono da sole e andarono perdute." Non si accenna molto alla sua vita privata. Questa autobiografia risulta molto interessante, gli accenni ad altri scrittori e in generale artisti, spinge le menti curiose ad approfondire. La sua risulta una vita ricca di emozioni, di conoscenze, di stimoli, di vitalità sebbene non manchino fattori negativi. Viene descritto un mondo, anche se non intenzionalmente o in modo diretto. Parole che spingono ad altre parole, immagini che aprono mondi passati, vocaboli sconosciuti che pian piano si svelano. Se ne esce sicuramente arricchiti, anche se con un velo di sgomento ed entusiasmo, come del resto lo stesso Pasternak tiene a precisare proprio all’inizio della sua avventura autobiografica: “Sgomento e entusiasmo erano all’origine delle sensazioni della mia prima infanzia”. Se ne consiglia sicuramente la lettura, anche non approfondita; le immagini e le parole hanno un alto potere di rimanere attaccate nella mente del lettore, anche se distratto. Non se ne può fare a meno.
la mia non è una recensione ma un tributo al genio che in queste meravigliose pagine racconta la sua vita "trasformata" anche essa, attraverso la sua carica passionale, in una straordinaria opera d'arte.
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