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Qualcuno potrebbe obiettare che non si fa un libro di racconti con solo otto racconti (anzi, come sottolinea l'Autore stesso, "sette racconti più uno"). Altri potrebbero a loro volta contestare un libro fotografico con solo quindici immagini (e qui verrebbe da dire "quindici più una", considerando il bell'ingranaggio della copertina). Ma questo non è un libro di racconti né un libro fotografico: è un progetto molto originale basato su una ben precisa idea di interazione con il lettore. Le immagini servono a stuzzicare la fantasia, cosa rara in un'epoca nella quale siamo talmente sommersi e ossessionati dalle immagini da non riuscire ad assaporarne anche solo per un momento i significati, la validità e la consistenza in termini artistici o psicologici. Qui l'autore, invece, mette noi lettori di fronte ad una serie di rappresentazioni fotografiche e ci costringe in qualche modo a porci a confronto con esse, quasi con aria di sfida, come per dirci: "ecco, io l'ho fatto. Voi sareste capaci di fare altrettanto?" Lui l'ha fatto realmente, riuscendo a costruire attorno ad immagini apparentemente slegate delle storie compiute, assolutamente fantasiose, ma guizzanti di momenti drammatici alternati ad altri più lievi se non addirittura comici e comunque sempre impregnati di un forte realismo. Leggendo questi racconti quasi non ci si rende conto dell'impossibilità degli accadimenti, perché procedendo nella lettura non si riesce ad evitare un coinvolgimento personale, ad identificarsi in questo o quel personaggio che, pur nell'assurdità degli eventi che stanno vivendo, testimoniano sempre una profonda umanità, problemi di ogni giorno, sentimenti di tutti. La giovane Rossella non è né più né meno che una "normale" adolescente: conta relativamente il fatto che sua nonna si sia trasformata in una porta, come Ugo, lo scemo del villaggio, non è che uno dei tanti personaggi coloriti e veri di tanti piccoli borghi o di tanti quartieri urbani, a cui la malvagità e l'ossessione di potere non riescono a scalfire la dolce mitezza. E non ci siamo, forse, un po' tutti nella sottile perfidia di Sakakawea, nell'irrequietezza di Diogene, nel peterpanismo di Giobbe e nella delusione amorosa di Lucia? Questo piccolo libro, così pieno di "normalità" e al tempo stesso di sfrenata fantasia, non può non farci pensare che a questo punto della sua vita l'autore abbia veramente incontrato Dietwald, l'Idea.
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