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Nel corso delle mie letture non è raro il caso che mi imbatta in volumi che sono delle vere e proprie antologie poetiche e che mi vengono inviati dai curatori o dall’editore confidando in un po’ di pubblicità e magari in una mia recensione. Per lo più di tratta di iniziative editoriali che contano sull’acquisto del libro da parte degli autori ivi pubblicati e in questo caso c’è un po’ di tutto, vale a dire accanto a testi per lo più modesti è possibile tuttavia trovarne qualcuno interessante. Altre volte il volume è invece il risultato di un concorso di poesia e in questo caso la qualità media è migliore; altre ancora, più sporadiche, sono il frutto di iniziative culturali, come è il caso appunto di Corviale cerca poeti. Ma, Corviale chi è? Si tratta di un quartiere di Roma, un po’ degradato, casermoni ove vive gente stipata, una sorta di periferia emarginata di una grande città. È però qui che ogni anno si svolge un piccolo grande festival della poesia, con il preciso intento di ribadire che la cultura e la passione per l’arte non sono caratterizzati da un luogo, ma dalle persone, da chi magari vive in quel luogo. Ciò premesso e nello scusarmi se mi sono dilungato, ma mi è parso necessario per comprendere lo spirito di questo libro, ritengo doveroso passare all’analisi critica dello stesso. Gli autori, alcuni a me noti, e le poesie sono in buon numero, ma non è questo elemento che valorizza, bensì i contenuti. Premetto ancora, e credo che buona parte del merito vada ai curatori, che mi sono trovato di fronte a poesie di buon livello qualitativo, soprattutto senza alti e bassi, cioè senza che vi siano testi di particolare rilievo e altri mediocri. Certo il tema era libero e come tale consente di poter dare il meglio di se stessi, ma se la capacità intrinseca dell’autore è assente i risultati finiscono con l’essere modesti, e questo non è proprio il caso. Nel leggere sono rimasto sempre soddisfatto, a volte di più, a volte di meno, e in ogni caso mai indispettito e invece continuamente interessato. Posso dire, e non temo di sbagliare, che è un’ottima antologia, caratterizzata da stili, pur diversi, ma comunque sempre armonici, con tematiche svolte con acume e senza leziosità. A voler parlare di ogni singola poesia rischierei di oltrepassare il limite logico di pagine per una recensione e allora preferisco limitarmi a una che più mi ha colpito (ma assicuro che la scelta non è stata facile, poiché tante mi sono rimaste impresse). Sarà per il mio viscerale amore per la natura, per descriverla pure io in numerose liriche, ma alla fine la scelta è caduta su Alberi, di Chiara Mutti, tratta peraltro da La fanciulla muta (Lepisma, 2012). “Ondeggiano, / spolverano il cielo / con le cime, e stanno / confitti come aghi nelle vene / i nostri padri. / Eppure lieve / è il loro stare / cuciti, come trine, / agli angoli del vento. / Infondono, nel sogno / infinitesimo di umani / l’ultimo respiro / degli dei.”. A parte la visione d’insieme che pone davanti agli occhi un bosco, un insieme di alberi, ci sono degli inserimenti che impreziosiscono il testo senza che si tratti di esibizioni di virtuosismo, ma che servono meglio a delineare e a supportare lo svolgimento, come quel passo “ cuciti, come trame. / agli angoli del vento”, con cui si evidenzia la forza muta e arcaica di questi vegetali, concetto che si rafforza nella riuscita chiusa. Ma non posso fare a meno di sottolineare l’effetto visivo che deriva dal verso “spolverano il cielo”, una trovata riuscitissima che mi ha incantato. Si potrebbe dire altro delle poesie di questa raccolta antologica, come per esempio del ritmo corretto riscontrato in ogni testo, ma in fin dei conti credo che sia più importante che evidenzi il grado di soddisfazione, assai ampio, che ho ritrovato arrivato all’ultima pagina, a cui hanno contribuito non solo Alberi, ma anche tutto glia altri componimenti. Chiuso il libro, mi sono sentito pervaso da un senso profondo di serenità e credo che se prima di leggere vedevo un quartiere malato e grigio, poi mi è apparso diverso, pervaso da una luce soffusa e delicata che lo ha trasformato in un’oasi di mistica bellezza.
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