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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2010
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L'America, i suoi miti, i suoi fantasmi e le sue ossessioni nel romanzo d'esordio dell'autore di Underworld.
L'affascinante David Bell incarna la realizzazione del sogno americano. Nonostante sia poco piú che ventenne è già manager di una grande rete televisiva. All'apice del successo il giovane trova però davanti a sé un vuoto insopportabile che lo spinge ad allontanarsi da Manhattan per intraprendere un viaggio nel cuore dell'America, a bordo di un vecchio camper e con la cinepresa sempre a disposizione, accompagnato da tre stravaganti soggetti. Scopo del viaggio è riprendere la vita della gente comune nelle piccole città di provincia, catturando i volti veri, la rabbia, i conflitti che animano il paese, tutto quello che la televisione ignora o mimetizza, cioè la realtà. È il film della sua vita, il tentativo folle, e commovente al tempo stesso, di scrivere un pezzo di storia americana.
Indice
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E così arrivammo alla fine di un altro stupido e lurido anno. Le luminarie sormontavano scintillanti le porte dei negozi. I venditori di caldarroste spingevano i carretti fumanti. Di sera, la folla in strada era immensa e il fragore del traffico saliva a trasformarsi in un'ondata di piena. I Babbi Natale della Quinta Avenue scampanellavano con una delicatezza strana e quasi dolente, come a spargere sale su un taglio di carne guasta. In tutti i negozi risuonavano musichette, canti e osanna natalizi, e le trombe dell'Esercito della Salvezza diffondevano i lamenti marziali di antiche legioni cristiane. L'effetto sonoro in quel luogo e in quel momento era bizzarro, fragore di piatti e rullare di tamburi, come un rimprovero impartito a dei bambini per un peccato imperdonabile, e la gente era infastidita. Ma le ragazze erano adorabili e spensierate, entravano nei negozi più stravaganti a fare acquisti, attraversavano i tanti tramonti magnetici della sera come majorettes, alte e rosee, stringendo ai morbidi seni pacchetti avvolti in carta colorata. Il pastore tedesco del cieco continuava a dormire senza accorgersi di nulla.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Parole su carta e immagini evocate, sfocate, tagliate, rubate: "Americana" è uno dei connubi più riusciti tra letteratura e cinema, forte di uno stile limpido e di un'eccellente narrazione che si esalta in alcuni passaggi di grande bellezza. David ha scelto di diventare il regista della propria vita, di farne un grande film senza spettatori paganti, ricco di rapporti fragili e adrenalinici, incarnando alla perfezione un adorabile cliché. Nel profondo, però, resta un vuoto da colmare. DeLillo come Fellini foggia un personaggio di talento e avvenenza, eppure pieno di incertezze, in preda a una confusione artistica che diventa lo stimolo maggiore per un'opera nuova, vera, che ricerca l'autenticità proprio perché il creatore è saturo delle messinscene che hanno riempito la propria esistenza. La macchina da presa, allora, cessa di essere strumento di finzione e diventa il testimone di vite lontane e sconosciute, spesso incorrotte e meravigliosamente genuine. Il progetto di David diventa il riflesso del libro: lungo, frammentario, poco lineare, sostanzialmente senza trama e senza una direzione precisa. Ma indelebile. Un'opera sull'America e il suo sogno, sulla società postmoderna, i media, le tecnologie (già) invasive, l'Arte, sulle vite di ognuno e sulla Vita di tutti.
Niente da fare. De Lillo non stimola la mia empatia, i suoi libri sembrano congegnati per rendere difficile l'identificazione del lettore (almeno la mia) con la vicenda narrata. La storia raccontata in questo romanzo di esordio dell'autore parte da uno spunto stimolante - un giovane di soli 28 anni che dirige un network televisivo abbandona la sua posizione di privilegio e si mette a girare per l'America "profonda" insieme a tre amici marginali e strampalati, alla ricerca di uno spaccato della storia degli Stati Uniti che dia voce alla "pancia" del paese-. Anche il mestiere di narratore è solido e la scrittura è infarcita di immagini originali, di pennellate significanti che proiettano squarci di luce deformante sui luoghi e sulle situazioni raccontate. Però ho trovato a tratti la scrittura di una prolissità esasperante e lo stile spesso ricorre a metafore cerebrali e intellettualistiche, come se la ricerca di un registro originale rendesse le vicende narrate congelate e prive di vita, disseccate da uno sguardo che le priva della loro vibrazione emotiva. La stessa dizione di "postmoderno" applicata a De Lillo si risolve spesso in un senso di forte straniamento che ha reso faticosa la lettura e ne ha diminuito sensibilmente il piacere. Pare a volte che l'autore narri attraverso un prisma deformante che devitalizza i suoi protagonisti riducendoli ad aggregati di funzioni e di parole. Ho terminato il libro a fatica.
Recensioni
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