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Una raccolta di 18 racconti ambientati in un paese (realmente esistente) dell’Ohio, mostrando uno spaccato impressionante di degrado e perversione, povertà rurale e violenza, squallore, sangue e alcol, raccontati con realismo e durezza spietata. Lo stile è asciutto ed efficace, l’effetto è quello di un pugno nello stomaco. I personaggi, tutti caratterizzati in maniera magistrale, sono miserabili e senza speranza. Uno dei migliori libri sul genere.
Knockemstiff è una piccola cittadina dell'Ohio, abitata da reietti. I reietti hanno una caratteristica che li accomuna quasi tutti. Si fanno di ogni tipo di droga, specie se sintetica o farmacologica. Tossici, ladri, fuori di testa. Poi infermi, ammalati, vecchi morenti già abbandonati dalla vita. Emarginati tra emarginati, Knockemstiff è una riserva di esclusi, di gente che ha un passato che li ha privati di una interiorità propria. La quarta di copertina cita Hemingway e Carver. Ma è solo marketing, sono due tra i migliori scrittori statunitensi di racconti, due che hanno imposto il loro stile. Richiamarli è quantomeno inappropriato. Sarebbe stato meglio un accostamento a Bukowski, ma i personaggi di Pollock non fanno nulla, non desiderano nulla. Si annientano e basta. La disperazione di Bukowski era colma di ironia e poesia. Qui invece l'orizzonte è piatto come l'encefalogramma di uno che ci è rimasto sotto. Non ci sono vie di fuga, solo girotondi attorno a Knockemstiff. Altri due riferimenti: "Winesburg, Ohio" di Anderson e "Trilobiti" di Pancake. Il primo per la struttura, storie degli abitanti di un luogo, che si sfiorano creando una progressione narrativa; il secondo - più contemporaneo a Knockemstiff - per l'ambientazione, Stati Uniti centrali, quelli che dicono essere la vera America anche se per Pancake si trattava dei monti Appalachi e la natura faceva da contrappunto prezioso. A Knockemstiff invece non c'è nulla. Una cartiera, una stazione di servizio, un bar, due fiumi, le colline intorno. Non c'è nè l'anelito dell'american dream nè la normalità di una vita sociale. Il risultato è un libro che pare costruito a tavolino in un corso universitario, monocorde, senza varietà, strepitosamente ben scritto per coerenza interna. Anche se non mancano pagine (mezze pagine) notevoli, Anderson, Bukowski e Pancake sono lontani, poco utili al marketing, tantissimo ai lettori che usano la letteratura anche per interpretare la vita. "Quando lo senti raccontare per la prima volta della faccenda, pensi che sia una cazzo di stronzata, ma in realtà era soltanto il tentativo di attaccarsi a qualche cosa che gli riempisse le giornate evitandogli di pensare al fottuto casino in cui aveva trasformato la sua vita. E' così per la maggior parte di noi: dimenticare le nostre vite potrebbe essere il meglio che riusciremo mai a fare".
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