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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2019
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Un romanzo che merita di essere letto per la capacità che Elisabeth Strout ha di esplorare ciò che la perdita lascia in coloro che sopravvivono. Il marito: un brillante reverendo di una piccola cittadina del Maine degli anni 50 che, prigioniero del proprio ruolo, cerca di controllare le proprie emozioni spingendosi al limite, e anche oltre. La figlia: una bimba di 5 anni che trasforma lo strazio che prova in un silenzio che nessuno riesce a comprendere. Intorno a loro, gli altri familiari e i parrocchiani di questo piccolo paese del Maine, tutti a loro modo incapaci di comprendere o alleviare il dolore della perdita.
Chi ha già apprezzato l'autrice con Olive Kitteridge o Amy e Isabelle non puo’ non amare anche questo romanzo. Protagonista è un reverendo di una piccola cittadina americana, rimasto vedovo con due bimbe piccole. Pagina dopo pagina viviamo il dolore di questa perdita, i segni indelebili che lascia sulla sua vita e quella delle bimbe, in particolare Katherine, la più grande. Con grande introspezione e cura dei particolari la Strout ci accompagna in questo percorso di dolore, dalle mille sfaccettature. E come sempre, accanto al protagonista, ci sono le esistenze della sua comunità di parrocchiani ad arricchire la storia. Scritto benissimo, con uno stile più maturo rispetto ad Amy e Isabelle, si ha la sensazione di vivere in prima persona il quotidiano di questi personaggi. Insomma, la Strout non mi ha deluso neanche questa volta!
Non all'altezza di Olive Kitteridge ma comunque un ottimo romanzo. L'elaborazione del lutto ne è l'argomento principale trattato con cura, delicatezza e disarmante realismo. La Strout è una delle migliori scrittrici contemporanee e sono stupita, quantomeno dispiaciuta, di non trovare i suoi libri tra i primi posti della classifica.
Recensioni
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