Dedicato al centenario della nascita di Emilio Vedova e al decennale della apertura al pubblico degli spazi espositivi e delle attività della Fondazione, il volume è introdotto da un testo di Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, cui seguono il saggio storico-critico di Germano Celant, curatore artistico e scientifico della Fondazione stessa, e un testo di Massimo Alvisi, fondatore dello studio di architettura Alvisi Kirimoto+Partners, volto alla considerazione delle strutture allestitive per le opere di Emilio Vedova. Il percorso creativo dell’artista è presentato a partire dagli esordi intorno al 1935, coincidenti con la produzione di una serie di disegni di architetture veneziane, dove la grafica e il segno portano ad un paesaggio graffiante ed energico, anticipatorio di un fare senza forma che, nel 1962, condurrà Emilio Vedova a spezzare anche la superficie del quadro con la serie dei “Plurimi”. La disamina propone i primi dipinti ancora figurativi alla ricerca di un dialogo con Tintoretto e il Barocco, per arrivare a documentare, negli anni quaranta, il periodo geometrico, in reazione al caos della tragedia della seconda guerra mondiale, seguito dalle vicende travagliate della sua partecipazione al Fronte Nuovo delle Arti. Negli anni cinquanta il linguaggio di Vedova rompe con la rigidità formale dell’astrazione e arriva a realizzare tele dal segno pittorico aperto e libero, drammatico e graffiante, connesso alla sua gestualità. Negli anni settanta, dopo i “Plurimi”, la drammaticità vissuta nel decennio precedente si traduce in un irrigidimento delle strutture con i “Plurimi/Binari”, opere cui si contrappongono i “…Cosiddetti Carnevali… ’77/’83”, connessi all’aspetto dionisiaco e anti-rituale dell’arte. Negli anni ottanta, dopo le collaborazioni con Luigi Nono, per “Intolleranza ’60” e per “Prometeo. Tragedia dell’ascolto”, 1984, e le grandi installazioni luminose di “Spazio/Plurimo/Luce” per l’Expo di Montreal del 1967, si apre per Vedova lo scatenamento delle immagini in tutto lo spazio architettonico. Infatti, dopo una serie di grandi dipinti, dal materismo cromato assoluto, Vedova passa alla costruzione dei “Dischi” e dei “Tondi”. L’esigenza di occupare la totalità del luogo lo porta nel 1987-1988 a pensare ad un gesto iconoclasta contro la rarità dell’opera: “…in continuum, compenetrazioni - traslati ’87/’88”. La narrazione è arricchita da un ampio apparato iconografico: innanzitutto le opere, le fotografie personali e i testi dell’artista; corredati, tramite la presentazione di documenti e immagini, dai riferimenti al contesto storico e artistico.
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