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Il commissario e l’arciprete è un saggio che ha scritto Ernesto Flisi dopo approfondite e immagino lunghe ricerche presso l’Archivio di Stato di Mantova e l’Archivio Storico Diocesano di Cremona. Il fatto di cui l’autore scrive non è forse eclatante per la nostra attuale mentalità, ma per quella esistente all’epoca (il tutto si svolge fra il 1849 e il 1862) è di grande risonanza, perché lo scontro, senza esclusione di colpi, fra un esponente non di basso livello della amministrazione austriaca e un sacerdote finisce con l’essere, anche se apparentemente non lo è, una vera e propria battaglia fra il potere imperiale asburgico che ha iniziato la sua decadenza e una nuova visione, meno autoritaria, di uno stato che inizia a sorgere, quello italiano. Il casus belli è, se vogliamo, poca cosa, è un abuso di potere di Don Antonio Parazzi, parroco di Santa Maria Assunta e San Cristoforo Castello di Viadana, nonché investito di altri incarichi, fra i quali quello di Direttore dell’Orfanotrofio Femminile. Ed è appunto in quest’ultima veste che il religioso, nell’estate del 1856, contravvenendo al regolamento dell’Istituto che prevede che le orfane siano dimesse al compimento del diciottesimo anno, ritiene che sia necessario che vi possano rimanere fino al ventunesimo, e in tal senso mantiene ospite tale Caterina Minari. Pietro Fornoni, Commissario Distrettuale di Viadana, già Commissario Provinciale di Polizia, non è della stessa idea, anzi è decisamente contrario ed inizia così un contenzioso che si trascinerà nel tempo fino alla sconfitta del Fornoni, uomo ligio al potere austriaco, che aveva avuto la stima del maresciallo Radetzky quando questi era Governatore generale del Lombardo-Veneto e che dopo la nostra sfortunata prima guerra di indipendenza aveva avviato una politica estremamente restrittiva. La vicenda è senza dubbio interessante, ma quel che più conta è raccontata veramente bene e in modo tale da avvincere il lettore.
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