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Con uno stile molto diverso da Sofocle ed Euripide, questa tragedia di Eschilo ha un tono più aulico, ricco di metafore e di riferimenti che potrebbero sfuggire a lettori che per la prima volta si avvicinano ai classici greci. Questa tragedia è la prima della trilogia dedicata alla famiglia degli Atridi, l'Orestea: al centro della vicenda, la perfida Clitennestra medita segretamente vendetta sul marito Agamennone, al ritorno dalla decennale guerra di Troia, per aver sacrificato l'amata figlia Ifigenia prima della partenza. Altro personaggio di forte impatto è Cassandra, la principessa troiana oracolo di nefaste visioni, che, portata come prigioniera ad Argo, predice ad Agamennone la caduta della sua casata, la vendetta della moglie e quella del figlio Oreste, che vendicherà il padre e reclamerà il suo trono. Eschilo ci racconta queste gesta mitologiche in maniera articolata e suggestiva, con lunghi monologhi o canti del coro, che rendono la lettura non semplicissima. Sicuramente però visto recitato deve essere uno dei drammi più potenti mai scritti. Particolare attenzione merita l’ambiguità tragica dove i sottintesi nei dialoghi dei personaggi sono utilizzati da Eschilo in modo pienamente cosciente per dissimulare un secondo discorso il cui senso può essere colto solo dal pubblico che dispone le informazioni necessarie per decodificarlo: accogliendo ad esempio Agamennone sulla soglia del palazzo di Agro, Clitennestra lo invita ad entrare utilizzando un linguaggio ambiguo che risulta piacevole per Agamennone, che percepisce le parole di benvenuto come pegno d’amore e fedeltà coniugale, ma al pubblico appaiono inquietanti perché in realtà la regina lo sta accogliendo con parole che evocano ben altra dimora: quella dell’Oltretomba. E lo spettatore intuisce l’oscura minaccia insita in esse, comprendendo chiaramente il piano di morte tramato dalla regina contro lo sposo.
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