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La prima impressione al termine della lettura è stata quella di avere di fronte un romanzo dal quale probabilmente un altro autore avrebbe potuto fare una triologia, ma non è il caso di Fineschi La sua capacità di condensare in 100 pagine un racconto denso di significati e ricco di contenuti è pari solo alla sua profonda conoscenza della materia qui trattata, conoscenza che traspare in ogni frase. Ogni singola parola è nel punto esatto dove avrebbe dovuto essere. Una storia affascinante piena di suspense e colpi di scena, un tesoro linguistico che esalta erudizione, ricercatezza e genialità dell'autore. "Per molti ma non per tutti" si direbbe e nonostante ciò la lettura scorre veloce e senza intoppi. Fineschi ti prende per mano e ti conduce dentro il suo racconto, rendendo vivida la percezione di quella realtà, potendone apprezzarne ogni aspetto, dalla trama, al linguaggio aulico, alla cultura dell'autore. Sicuramente la matrice filosofica del racconto è ben presente e ne arricchisce ogni suo aspetto, con un’ambientazione storica affascinante e dei riferimenti al pensiero medievale che offrono spunti di riflessione sul concetto di fede. Decisamente da leggere e rileggere.
Fineschi scrive questo libro guidato dal racconto di vita di un essere storpio e mostruoso. Scritto in prima persona infatti, il romanzo narra di "casuali" intrecci che, proprio come nella vita reale, portano a conseguenze e coincidenze sorprendenti e inaspettate. Ambientato fra il 1300 e il 1400 il lettore sembra catapultato in un mondo completamente diverso, per poi accorgersi che le credenze, le superstizioni e le ambizioni dell'epoca, non sono così lontane da quelle dei nostri giorni. Certo non bruciamo più le streghe ma, la persecuzione dei più deboli, la ricerca di un figlio e di un figlio perfetto, l'aborto (che per qualcuno ahimé é ancora un tabù), il fermarsi ancora troppo alle apparenze senza scoprire cosa nascondono, il sentirsi migliore e il piacere appagante di recare male altrui, sono aspetti insiti nell'Uomo di ogni epoca. Eppure in tutti i mondi c'è qualcuno che, pur essendo brutto, malformato, e orribile a chi gli sta di fronte, riesce ad avere un'intelligenza e una pulizia mentale tale da riconoscere i suoi difetti fisici. Non pretende da sé stesso più di quanto il suo corpo gli permetta, cerca di non angustiare gli altri con le sue disgrazie e a volte sembra riuscire anche ad accettare il suo essere così com'è. Proprio queste rarità, nel libro il personaggio gobbo e sbilenco, avrà lo stesso tanto da dare e salverà il cuore ottuso di qualcuno. Sarò di parte poiché, avendo letto altri scritti di Fineschi, apprezzo molto il suo approccio psicologico alla filosofia, ma consiglio a tutti questo scorrevole e agile libro che, come catturata dalle vicende, ho letto in poche ore.
“Il Cielo Riflesso” di Fabio Fineschi è un romanzo breve collocato all’interno di una cornice storica efficace per sviluppare argomenti teologici e filosofici che ben rappresentano temi sui quali ancora oggi ci si interroga. Il libro è scritto in modo magistrale e sorprende il lettore fin dalle sue prime pagine per l’accuratezza delle fonti e dei riferimenti storici. L’abilità del Fineschi rende possibile affrontare temi sociologici e psicologici anche nell’ambito di un racconto ambientato nel tardo medioevo italiano. Un torrente di parole e riferimenti restituiscono le figure descritte come un susseguirsi di quadri al di fuori del tempo che devono ottemperare a un desiderio di continuità nell’ambito di un filo logico espressivo, intimo e che il narratore vuole originare in chi legge. Nel prologo il protagonista del libro, un essere innominato affetto da gravi deformità fisiche, afferma che la sua esistenza costituisce “l’espressione della disobbedienza al naturale ordine del cielo”, ovvero “a esserne la rappresentazione in forma umana”. Egli deve affrontare le discriminazioni e il razzismo che risiede nell’incapacità tipicamente umana di distinguere tra l’apparenza e lo spessore intellettivo ed emozionale dei propri consimili. “Io sono il mio dentro,” afferma di nuovo, “io sono quello che so di me ed è questa l’immagine che rappresento a me medesimo”. Il sorprendente epilogo del racconto, infine, ci restituisce emozioni e sentimenti che vanno oltre i personaggi. La creatività del Fineschi porta il lettore a far riflettere su considerazioni quali: “provate a immaginare la complessità della figura umana, di tutte le sue parti e tutte le sue sfumature”, e ancora che “l’immagine riflessa di un uomo non rappresenta lo stesso uomo”. Rimane indefinita, anche se verosimilmente prevista, l’eventuale prosecuzione della storia, che auspichiamo sia il proseguo di un’avventura coinvolgente e passionale quale quella descritta in questo libro. Federico
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