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Esistono dei «caratteri originari» del nostro capitalismo? E quali sono? Somigliano forse essi piuttosto a dei «peccati originali»?In questo saggio, scritto quale asse portante del volume collettivo sulla Storia del capitalismo italiano e ora riproposto autonomamente con una nuova prefazione, Fabrizio Barca individua un punto di focalizzazione proprio negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. In quella fase si presentò l'opportunità di un disegno di vasta portata, che cercasse di superare i vincoli e le asfissie del passato: la debolezza della nostra borghesia imprenditrice, la gracilità dei fattori sostitutivi dell'accumulazione originaria, la specificità di un capitalismo che ha cominciato a individuare lo Stato tra i soggetti proprietari dello sviluppo. La soluzione che venne adottata fu in sé contraddittoria. Si verificò in quegli anni uno strano «compromesso senza riforme», che puntò da un lato al rafforzamento dei tradizionali gruppi di comando della esile borghesia nazionale, e dall'altro all'espansione di uno «Stato imprenditore». E gli strumenti prescelti per simili politiche furono caratterizzati da un connotato essenziale: la «straordinarietà».La soluzione data in quegli anni, in termini di regole del gioco, di riconoscimento dei soggetti interlocutori, di assetti di potere, di predominio di famiglie e di gruppi, ha segnato in modo significativo tutto il resto della parabola. Sarà soltanto sul finire degli anni ottanta, con molte resistenze e sotto la spinta dell'integrazione europea, della globalizzazione dei mercati e degli stessi costi delle scelte compiute, che si avvieranno processi di revisione in grado di porre in discussione i precedenti assetti. Ma si tratterà di una transizione faticosa e difficile, incerta e ancora per molti versi inconclusa.
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