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I Viceré - Federico De Roberto - copertina
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Viceré

Descrizione


"Tecnicamente, è un romanzo "ben fatto", senza ingorghi e dispersioni. Una tecnica così sicura; un tempo, un ritmo tanto vigilato e costante... a lettura finita, e anche nel ricordo più lontano, i personaggi stanno tutti sullo stesso piano, nella stessa cruda luce, equamente indimenticabili così come equamente necessari ed importanti..." (Leonardo Sciascia)
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Dettagli

2006
Tascabile
30 agosto 2006
XXXV-654 p., Brossura
9788817012164

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 0/5

I Vicerè non sono una lettura semplice,anche la prosa non lo è,inoltre l'inizio è preoccupante per il lungo elenco di personaggi con cui parte l'autore...già dopo quattro pagine abbiamo una decina di nomi da legare a titoli nobiliari con i quali De Roberto li richiama...insomma un inizio non molto invitante e per nulla semplice. Il binomio Vicerè/Uzeda e la storia della nascita della Repubblica Italiana sono il let motiv della trama,ma tutto è “condito” con l'analisi ironica che l'autore fa di ciascun familiare....ognuno con personalità ben scolpita nei pregi o difetti..... i difetti abbondano in tutti e il maggiore è l'amore per IL DENARO tanto caro alla matriarca Teresa,agli zii tra cui Don Blasco è il più adulatore ma anche la sorella Ferdinanda non scherza....,fino a tutti i figli/e su tutti spicca il Principe Giacomo che per i soldi arriva a tutto...corruzioni e ricatti per i fratelli e sorelle fino all'infelicità della figlia Teresina costretta dal padre a sposare un uomo che non ama ma che ha tanto denaro e soprattutto il titolo nobiliare consono ad una Uzeda...... e lo stesso pretende per il figlio “iettatore” Consalvo ma con lui non và come vorrebbe il principe e questa ribellione lo porta nella fossa......... A libro finito,con l'evento conclusivo dell'ingresso del Principe Consalvo Uzeda in parlamento,ci si sente bene e sembra di aver vissuto quella campagna elettorale tanto ben descritta su buoni propositi,onestà,lavoro,benessere,eguaglianza,ecc... sembra un comizio di oggi Nulla è cambiato......

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CINZIA SUGLIA
Recensioni: 5/5

Se ce lo avessero proposto come lettura al liceo, quanto lo avremmo odiato, per quelle sue 655 pagine. E quanto avremmo sbagliato! I Vicerè, di Federico De Roberto, è un libro rivelazione, nonostante sia stato scritto più di un secolo fa. Una sorta di documentario choc su malcostume, corruzione, nefandezze, veleni e mali che albergano nell'animo umano, realizzato però con un'intelligente senso umoristico, quasi pirandelliano; un vademecum, indispensabile, per decifrare le logiche senza tempo che allora, ora e per sempre, stanno alla base di una società malata che diffonde i suoi virus letali nella politica, negli ordini clericali, nelle istituzioni civili e morali, quali la famiglia ed il matrimonio. La vicenda narrata è quella di tre generazioni degli Uzeda di Francalanza, aristocratica famiglia catanese discendente dai Vicerè spagnoli in Sicilia ai tempi di Carlo V. L'arco temporale coperto dalla narrazione si incentra sulle vicende meridionali del Risorgimento italiano, dalla caduta del Regno borbonico, attraverso l'Unità d'Italia, la presa di Roma del 1870, fino alle prime elezioni a suffraggio allargato del 1882. Il romanzo si apre con le trionfali esequie della principessa Teresa Uzeda di Francalanza, nata Risà, matriarca di una crudeltà inaudita, che anche dopo la sua morte, manovra i destini dei suoi discendenti con perfidia. Infatti l'apertura del testamento della defunta è il casus belli di una guerra in famiglia destinata a durare per generazioni. Nei trent'anni in cui si determina la storia e la nascita dello Stato Italiano, la famiglia Uzeda (divisa da odi, rancori, avidità, sete di potere, in eterna lotta per questioni di eredità) rimane ancorata ai privilegi di casta che hanno caratterizzato fino a quel momento la propria condizione aristocratica, non ne accetta il declino, pertanto cerca di "adattarsi" ai tempi che cambiano: dapprima il duca Gaspare d'Oragua, poi suo nipote, il rampollo Consalvo Uzeda si lanciano in politica con l'obiettivo di arrivare a Roma, non già per partecipare al processo di cambiamento in atto nella società italiana, ma al contrario, per garantire la sopravvivenza del proprio status di privilegiati attraverso il potere. Emblematiche, a tale proposito, le parole di Consalvo, appena eletto al Parlamento, nel suo monologo al cospetto di Donna Ferdinanda: "La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d'oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore. Il primo eletto col suffragio quasi universale non è né un popolano, né un borghese, né un democratico: sono io, perché mi chiamo principe di Francalanza. Il prestigio della nobiltà non è e non può essere spento". Se il duca è una figura caricaturale, un inetto che non riesce a spiaccicare due parole per mettere in piedi un comizio o un discorso di ringraziamento per i voti ottenuti, un reazionario che si finge liberale per guadagnarsi il favore dell'elettorato (sua la celebra frase: "Ora che l'Italia è fatta, possiamo fare gli affari nostri"), Consalvo è la machiavellica concretizzazione di un trasformismo politico per cui, pur candidandosi - per mero calcolo - a sinistra, arriva ad affermare nel magistrale comizio elettorale di fine romanzo, che "l'ideale della democrazia è aristocratico". Più che nella dissacrazione di istituzioni civili, sociali e religiose (famiglia, matrimonio, ordine clericale dei Benedettini) lo sguardo acuto di De Roberto indugia nella caratterizzazione fisica e psicologica di uomini e donne "troppo cocciuti e troppo volubili ad un tempo". Lo scrittore dipinge degli indimenticabili ritratti di personaggi infidi, litigiosi, avidi, rozzi, opportunisti, ignoranti, prevaricatori: il principe Giacomo, furbo calcolatore superstizioso, donna Ferdinanda, mostruosa creatura rimasta "zitella", orgogliosa della propria ignoranza che si da alle speculazioni finanziarie; il corpulento Don Blasco, gaudente monaco benedettino che la legge del maggiorascato ha costretto ai voti, ma che non rinunzia a piaceri carnali e vive della zizzania che semina tra gli Uzeda; l'antipatica Lucrezia che sfidò la famiglia pur di sposare il borghese avvocato Giulente, salvo poi trattarlo come un pezzente; la sciroccata Chiara che pur di assecondare il proprio desiderio di maternità, fa concepire un figlio a suo marito con una cameriera per crescerlo come suo erede naturale. Una galleria di personaggi assimilabile ad una giungla, in cui chi non è come loro è un debole e perciò soccombe o impazzisce. Il romanzo di De Roberto non fu accolto positivamente dalla critica, tanto più perchè lo stesso Benedetto Croce lo stroncò come "un'opera pesante, che non illumina l'intelletto e non fa mai battere il cuore". Nulla di più infondato. Oggi, fortunatamente, rivalutiamo questo scritto forse grazie anche al cinema che, con Roberto Faenza, porta gli immortali Uzeda sul grande schermo, ottenendo - più che meriti cinematografici per una pellicola elegante, ma troppo riduttiva e povera del sarcastico acume del romanziere - il merito di incuriosire lo spettatore più attento che si ritrova a divorare d'un fiato, le 655 pagine che da studente liceale avrebbe odiato.

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VITTORIO MUSAZZI
Recensioni: 5/5

Oserei dire che è un grande libro, ingiustamente trascurato anche nelle scuole. Mio figlio infatti non ne aveva neppure sentito parlare al liceo scientifico! Molto meglio de "I promessi sposi" a mio avviso.

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Recensioni

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Recensioni: 3/5
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Federico De Roberto

1861, Napoli

Di madre siciliana, studiò all’istituto tecnico di Catania, città nella quale dimorò quasi sempre, salvo un decennio (1888-97) fondamentale per la sua formazione, trascorso a Firenze e a Milano. Amico di Giovanni Verga e di Luigi Capuana, aderì subito al verismo; nel contempo subì però anche l’influsso dello psicologismo di Paul Bourget. L’alternanza, o la compresenza, delle due suggestioni si estese in tutta l'opera di De Roberto, determinando alcuni squilibri sia delle raccolte di novelle (La sorte, 1887; Documenti umani, 1888; Processi verbali, 1890), sia dei numerosi romanzi della giovinezza e della maturità (Ermanno Raeli, 1889; L’illusione, 1891; Spasimo, 1897; Messa di nozze, 1911).Soltanto nel capolavoro, il romanzo...

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