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Il regno di Luigi XIV vide nascere, svilupparsi e poi far finta di scomparire un genere letterario che lo illustra più d’ogni altro: quello dei racconti di fate. Colui che era destinato a divenire il Re Sole, nato come per miracolo dopo ventidue anni di speranze deluse, come avrebbe potuto non amare quelle fate che avevano presieduto alla sua nascita? L’infanzia e il meraviglioso vanno evidentemente molto d’accordo, ma l’infanzia d’un principe come lui è il meraviglioso realizzato; e ciò non solo perché un compagno di giochi gli offre, fra tanti splendidi balocchi, un cannoncino d’oro tirato d’un guardaroba inimmaginabile – brache di scarlatto ornate di galloni d’argento, cappelli piumati… – e neppure perché, fino a sette anni, lo si addormenta la sera raccontandogli quelle “storie di Pelle d’Asino” che tanto gli piacciono e che si prolungheranno nei suoi sogni; ma anche perché le arti, le scienze, la storia in generale concorrono al successo d’un genere il quale non aspettava che il suo momento per nascere e fiorire.
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