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Ecco un libro che finalmente ci voleva. Credo che non ne esistano di più completi in Italia su questo argomento, c’è davvero tutto, dalla critica di agricoltura industriale, ogm, zootecnia, pesca e d’ogni altra degenerazione (una critica mai ideologica ma sempre basata su dati oggettivi) alla definizione razionale di un modello alimentare alternativo e sostenibile basato sull’agricoltura biologica e di prossimità, sulla riscoperta del cibo vegetale, sulla piccola dimensione e il superamento della contrapposizione produttore-consumatore. E non mancano nemmeno solide pagine di denuncia delle finte alternative. In più, l’autore non si accontenta di studi teorici ma, definita quella che dovrebbe essere la situazione ideale, si mette in viaggio alla ricerca di realizzazioni concrete che vadano in quella direzione. E le trova. Le pagine dei suoi dialoghi con coloro che le hanno realizzate sono forse le più piacevoli da leggere ma anche le più positive, quelle che davvero, più d’ogni altra, ci dicono che un’alternativa non solo è possibile ma anzi esiste già e funziona. Non mancano passaggi esilaranti come la citazione di certe ridicole dichiarazioni della direttrice del marketing della Kraft o la descrizione di una vignetta umoristica sulla presunta pesca “sostenibile”. Ma la parte più originale e inedita è sicuramente l’ultima in cui l’autore, partendo da un menù demenziale, confrontando alcune frasi di Pollan e Foer e infine dialogando con uno psicologo che va a incontrare nella sua casa di pietra sulle pendici innevate delle Alpi, penetra fino alle radici del nostro inconscio alimentare dove si annidano le vere ragioni delle resistenze al cambiamento. È la parte più breve, ma su cui c’è da riflettere per anni. È un libro a volte arduo e inquietante ma più spesso stimolante e suggestivo. Da leggere e rileggere. E che naturalmente non piacerà a chi intende a tutti i costi rimanere aggrappato alla bistecca e allo snak.
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