Indice
Le prime pagine del romanzo
«Mi piace una» disse Riccio, prima di scodellare la pallina bianca nel biliardino.
È esattamente così: le cose non esistono finché non le nomini.
Un attimo prima tutto è fermo e tu sei ancora tutto intero. Un secondo dopo riconosci quello che provi, gli dai un nome, lo butti al centro del campo ed è l’inferno.
Un fragore di legno e metallo investì l’interno del bar con l’allegria di una banda scapestrata in cui tutti gli strumenti attaccano all’improvviso a suonare a pieno fiato.
Enrico il barista, che conviveva con quel rumore ogni giorno da trent’anni e che mai, neanche per una volta, aveva preso in considerazione l’ipotesi di rimuovere il calciobalilla, rivolse ai due ragazzi lo stesso sguardo infastidito che sempre destinava a chi iniziava una nuova partita.
Riccio aveva i rossi, il suo compagno di banco Spaccapietra i blu.
La pallina si fermò per un attimo, irraggiungibile per tutti gli omini. Spaccapietra la recuperò con le dita facendo ripartire l’azione dall’angolo in pendenza vicino alla propria difesa.
«Mi piace una!» ripeté Riccio, approfittando della pausa.
Invece di concentrarsi sull’attacco, pareva stregato dal caos dei rimbalzi. Finalmente l’aveva capito. L’aveva ammesso. L’aveva appena detto: mi piace una. Mi piace una e la palla guizza velocissima tra le figurine in plastica, mi piace una e senti che gran casino, mi piace una e sono a pezzi e soffro da cani ma è bellissimo, mi piace una e adesso lo so che cos’ho finalmente, ed è tutto uno sbattere del cuore tra le sponde, una biglia di purezza su un biliardino unto di grasso, un siluro che attraversa il campo e sfonda la rete.
«Uno a zero.» Spaccapietra sorrise.
Il rumore di latta dentro la piccola nicchia della porta di Riccio appena percossa dalla pallina pose fine al frastuono. Spaccapietra allungò una mano verso il segnapunti azzurro facendo scivolare uno dei dadi.
Riccio lo guardò con sospetto. Piegato in avanti, le maniche della maglietta nera su cui un demone imbracciava una chitarra elettrica arrotolate sulle spalle, le braccia esili e pallide, l’amico sembrava galleggiare sul calciobalilla con la fluidità di un polpo. Non si sarebbe stupito se gli avesse visto spuntare e muovere in maniera coordinatissima quattro braccia insieme, una per ogni barra. Cinque, se contava anche quella necessaria per segnare i punti.
Riccio si chinò a prendere la seconda pallina dalla pancia del biliardino.
«È bionda» disse rovesciandola tra le due file di centrocampisti. E giù di nuovo a dar battaglia, come se la prima volta che la descriveva lei stesse nascendo proprio lì di fronte a lui e una sorta di glorioso dolore si impadronisse del suo povero cuore, lo schianto metallico di un oggetto caduto dall’alto.
«Due a zero» fece Spaccapietra, sorrisino malizioso e gesto furtivo a snocciolare un altro dado sul segnapunti.
Senza guardare in basso, Riccio infilò la mano nelle viscere del calciobalilla e prese la terza palla, gettandola in campo con risentimento.
«È bellissima, sarà alta più o meno uno e sessantacinque, forse sessantotto, è elegantissima, non nel senso degli abiti, è come se avesse un certo suo stile, ha un sorriso pazzesco…»
«Tre a zero.»
Riccio tirò fortissimo le stecche verso di sé. Un boato di metallo risuonò nel bar. Da dietro il bancone Enrico emise un ruggito. Spaccapietra spostò il terzo dado sul segnapunti. Sorrise di nuovo, concentratissimo nell’attesa che la pallina tornasse in gioco.
«Vorrei che capissi che questa cosa che ti sto dicendo per me è importante. È come se finalmente adesso ci vedessi chiaro e…»
«Quattro a zero.»
Riccio restò pietrificato, raccolse la quinta palla, la serrò tra indice e pollice e si mise a fissare Spaccapietra che non poteva fare a meno di ridere sotto i baffi.
«Sei il mio compagno di banco. Accidentalmente, visto che viviamo in un paese di circa duemilacinquecento anime e che non c’era un granché da scegliere, sei anche il mio migliore amico. Ti sto confessando un segreto di cui mi sono appena reso conto. E dimmi qualcosa, cazzo!»
Spaccapietra rimase imperturbabile, piegato sulle ginocchia a fluttuare con i tentacoli sulle stecche.
«E che cosa ti devo dire, amico mio! Hai un centrocampo che fa veramente schifo!»
Riccio scrollò il capo, rassegnato a rimettere la sfera in gioco.
«Muoviti, tira che ho il braccio caldo. Ti ricordo che a cinque si vince.»
Riccio fece scivolare in campo la palla, che rimbalzò sulle due sponde lunghe e si diresse verso i centrocampisti azzurri. Riccio la seguì distrattamente muovendo la fila dei suoi omini finché perse la marcatura, lasciando sguarnita la difesa per un attimo appena.
Concentrato come un cecchino, Spaccapietra se ne accorse e battezzò con certezza lo spiraglio che aveva appena intravisto e che gli avrebbe permesso di mettere a segno il punto partita.
Mentre l’amico caricava il tiro, Riccio aggiunse con un bisbiglio: «È di Montesole».
Spaccapietra svirgolò il colpo, la stecca gli scivolò tra le mani e finì con l’impattare la palla in direzione opposta, mandandola dritta come una rasoiata a insaccarsi nella propria porta.
Osservò l’amico con occhi increduli «Di Montesole?» ripeté a voce talmente alta che tutti nel bar si fermarono improvvisamente. Enrico si accigliò sporgendosi sul bancone.
Riccio non ebbe paura. Mentre il suo compagno di banco sbraitava contro i montesolani dando fuoco a un’intera santabarbara di bestemmie e istigando gli altri avventori del bar a condannare quel sentimento appena sbocciato, lui sgranò il primo dado rosso sul suo segnapunti, si chinò a prendere una nuova pallina e la rimise in gioco.
«Mi piace una» ripeté tra i denti. E certo era bellissimo essersene reso conto. Ma d’improvviso gli parve assai più bella l’idea, ancora tutta confusa, che la questione non fosse finita lì. Accanto alla meraviglia della consapevolezza, si affacciò la vertiginosa possibilità che adesso toccasse a lui fare qualcosa. Cosa, lo ignorava completamente.
Tutto quello che sapeva era che adesso era in gioco, che la partita era difficile ma appena iniziata e che stava a lui cercare di far seguire a quella piccola palla bianchissima che sbatteva in una scatola di legno e metallo la direzione che il suo cuore suggeriva palpitando.