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Carissimo Gaetano, come ben sai ero uno di quei ragazzi che vissero insieme a te quell’estate, quel Peppuccio “che pur essendo il più grande tra di noi era anche il più candido d’animo per il suo modo intellettualmente delicato di avvicinarsi alla vita”. Sono trascorsi quindici anni dal libro, quarant’anni da quegli avvenimenti ... Eravamo giovani allora e non so ancora dire se fosse una giustificazione o una colpa. Mi ha sorpreso scoprire che “Il mare metafisico di Punta Corvo” sia del 2005, avevo pensato, per la freschezza e lo stupore, che quel racconto della nostra formazione, con la sua centralità, fosse anteriore. Poi, amico mio, leggendo ho ritrovato la tua lucidità, l’assoluta consapevolezza di quanto ti accade e la ricerca continua di un linguaggio adatto a comunicarlo con tutti i problemi teorici di cui sei a conoscenza, con la pretesa, allo stesso tempo umile e orgogliosa, di bastare a te stesso, sapendo che è impossibile dopo quell’estate senza Guglielmo, quando abbiamo dovuto imparare, di colpo, ad abitare il mondo dai confini certi dell’età adulta e delle sue indispensabili sicurezze. Grazie Gaetano, perché ho ritrovato il ricordo di quell’estate “metafisica”, ripensando alle domande di allora e comprendendo meglio “…Il testamento di un uomo che aveva ricercato nelle parole il senso della vita. E che cos’è la poesia se non un disperato tentativo di ricercare piccoli e grandi infiniti utilizzando come strumenti le parole? … In questo senso, la poesia non è forse lo strumento più adatto e probabilmente anche l’unico che riesce a dare nomi a e volti a tutti luoghi sconosciuti ed informi della nostra anima?”
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