Indice
Le prime pagine del libro
La storia di Vladimir Girškin – metà P.T. Barnum e metà V.I. Lenin, l’uomo che conquistò mezza Europa (benché la metà sbagliata) – inizia come tante altre. Un lunedì mattina. In un ufficio. Con la prima tazza di caffè istantaneo bevuto nella sala di ritrovo.
La sua storia comincia a New York, all’angolo tra Broadway e Battery Place, l’angolo più malridotto, dimenticato e non profit del quartiere finanziario di New York. Al decimo piano la Società per l’inserimento degli immigrati Emma Lazarus accoglie i clienti con le sue pareti tipicamente intonacate di giallino coperte di macchie d’umidità e le solite idrangee semidefunte di qualsiasi triste ufficio governativo del Terzo Mondo. Davanti al banco della reception, sotto la pressione cortese ma ferma di alcuni ben addestrati addetti all’assimilazione, turchi e curdi rispettavano la tregua, i tutsi stavano pazientemente in fila dietro gli hutu, i serbi chiacchieravano con i croati vicino alla fontanella demilitarizzata.
Nel frattempo, nell’ingombro ufficio sul retro, l’impiegato Vladimir Girškin, l’immigrato per eccellenza, l’espatriato per definizione, perenne vittima di ogni barzelletta inventata intorno alla fine del ventesimo secolo e improbabile eroe dei nostri tempi, si sta dando da fare con il primo panino doppio della giornata, imbottito di soppressata piccante e avocado. Come gli piacciono la spietata durezza della soppressata e il burroso retrogusto del tenero avocado! Per quel che lo riguarda, nell’estate del 1993, la proliferazione dei panini bifronti è quanto di meglio succeda a Manhattan.
Oggi Vladimir compie venticinque anni. Ha vissuto in Russia per i primi dodici, e tredici li ha trascorsi qui. A tanto assomma la sua vita, una vita in procinto di cadere a pezzi.
Quello sarebbe stato il peggior compleanno di tutti. Il suo migliore amico era in Florida a guadagnarsi i soldi dell’affitto facendo cose innominabili con persone improponibili. Istigata dagli scarsi successi ottenuti dal figlio nel corso del primo quarto di secolo della sua vita, la madre era scesa sul sentiero di guerra. E per concludere, il 1993 è l’Anno della Fidanzata nella sua versione peggiore: una depressa ragazza americana di corporatura massiccia, i cui capelli arancioni hanno invaso la stamberga di Alphabet City come una schiera di conigli d’Angora. Una fidanzata con un profumo nauseabondo d’incenso e muschio che si è incollato come una patina sulla pelle poco pulita di Vladimir, forse per ricordargli cosa si poteva aspettare per quella sera, la sera del suo compleanno: Sesso. Una volta alla settimana, tutte le settimane, dovevano fare sesso, poiché entrambi, Vladimir e quell’enorme donna pallida, quella pagnotta Challah, ritenevano che senza una settimanale dose di sesso la loro relazione, in base a una qualche misteriosa legge che regola le relazioni, si sarebbe conclusa.
Sì, una notte di sesso con Challah. Challah dalle guance paffute e il naso a ravanello che, malgrado le lacere gonne nere, i bracciali gotici e i crocifissi che si faceva rifilare dai più assurdi negozi di downtown, conservava un’aria troppo matronale e provinciale. Una notte di sesso, un’offerta che Vladimir non osava rifiutare, considerata la prospettiva di risvegliarsi in un letto completamente vuoto; be’, vuoto fatta eccezione per il solingo se stesso. Com’è che funziona? Apri gli occhi, ti volti e guardi in faccia... la sveglia. Una faccia indaffarata e spietata che, diversamente da quella di un’amante, dice solo «tic tac».
All’improvviso Vladimir si accorse che dall’ingresso arrivavano le grida di un vecchio russo: «Opa! Opa! Tovarišč Girškin! Ahi! Ahi! Ahi!»
Ah, i clienti. Che problema. Il lunedì mattina arrivavano prestissimo, avendo passato il fine settimana a fare le prove generali dei loro guai con gli amici più ributtanti, a esercitarsi negli atteggiamenti più aggressivi davanti allo specchio del bagno del monolocale di Brighton Beach dove vivevano.
Era tempo di agire. Vladimir appoggiò le mani alla scrivania, si fece coraggio e si alzò. Tutto solo in quell’ufficio sul retro, senza punti di riferimento oltre alla mobilia – sedie e tavolini delle dimensioni adatte a un asilo nido – di colpo si sentì considerevolmente alto. Un uomo di venticinque anni con una camicia Oxford ingiallita sotto le ascelle, i pantaloni con i risvolti sdruciti in maniera comica e un paio di mocassini che portavano i segni neri di un incidente domestico con il fuoco, faceva rimpicciolire l’ambiente come il solitario grattacielo che avevano costruito nel Queens, di fronte all’East River. L’impressione tuttavia non corrispondeva al vero: Vladimir era di bassa statura.