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Wall Street: la stangata. Cosa abbiamo imparato per non perdere più soldi - Gianfilippo Cuneo,Fabio Tamburini - copertina
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Wall Street: la stangata. Cosa abbiamo imparato per non perdere più soldi - Gianfilippo Cuneo,Fabio Tamburini - copertina
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Descrizione


La crisi economica e finanziaria è stata devastante e molto, in proposito, è stato scritto. Nonostante ciò non è ancora chiaro cosa sia davvero successo. Gianfilippo Cuneo, uno dei consulenti d'impresa più conosciuti e ora gestore di fondi d'investimento, risponde alle domande di Fabio Tamburini, direttore dell'agenzia di stampa II Sole 24 Ore Radiocor, sul crollo del capitalismo finanziario e sui peccati capitali commessi dalle principali banche d'affari, dalle agenzie di rating, da revisori, autorità di controllo e dai cosiddetti consiglieri indipendenti. Quali sono limiti e opportunità del capitalismo famigliare nel contesto di crisi attuale e in prospettiva? Quali gli errori, le omissioni e gli eccessi dei fondi di private equity? Tale "industria" ha ancora un futuro? E ancora: come si spiega il fallimento clamoroso dei gestori del risparmio? Perché hanno sbagliato? E, soprattutto, quali insegnamenti può ricavare il risparmiatore in un contesto economico di bassa crescita e crisi ricorrenti? Qual è il bilancio della stagione delle privatizzazioni? Quali sono state le occasioni mancate e gli errori fatti? Vengono analizzate, infine, le opportunità che nascono dalla crisi: come conviene muoversi, quali sono le difficoltà da superare e i rischi che si corrono, come si devono gestire le aziende nel contesto di una situazione che durerà anni.
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Dettagli

2009
24 novembre 2009
149 p., Rilegato
9788860736710

Valutazioni e recensioni

Paola Bonomo
Recensioni: 5/5

"Wall Street: La stangata" è un libro-intervista in cui Gianfilippo Cuneo risponde alle domande di Fabio Tamburini sui postumi della crisi e sulle opportunità che ne nascono. Forse non vi darà ricette per investire meglio; sicuramente vi farà riflettere con le sue opinioni e con qualche provocazione. Dopo aver ricostruito la meccanica della crisi finanziaria, Cuneo passa a illustrare il suo pessimismo sul mondo del private equity ("Non ci sono più le condizioni per tenere in vita, nelle dimensioni storiche, l'industria del private equity") e il suo scetticismo - forse eccessivo - su quello del venture capital, definito un'occasione perduta ("molti si sono bruciati e il ricordo delle scottature è rimasto, il che ha portato a un disinteresse generalizzato verso tale forma di investimento, praticamente scomparsa non solo in Italia ma anche un po' in tutti i Paesi europei"). Cuneo ha poi parole non tenere per il capitalismo familiare all'italiana e per gli imprenditori di prima generazione che passano l'azienda ai figli e ai nipoti, anziché aprirla al capitale esterno per permetterle di crescere e rafforzarsi. Ma le bordate arrivano quando Cuneo parla della qualità del management delle imprese: "La gente pensa solitamente che per arrivare a diventare amministratore delegato di una azienda bisogna essere bravi. In realtà non è proprio così. [...] Nella maggior parte dei casi gli amministratori delegati, in italia come all'estero, non sono particolarmente bravi nelle materie che solitamente sono associate alla gestione, cioè conoscenze tecniche, esperienza, leadership, capacità analitiche. Ma eccellono in quelle politiche, nella furbizia di corridoio, nel costruirsi una immagine, sovente con i soldi della società. Il track record, ovvero i risultati raggiunti in passato, non è importante, anche perché può essere manipolato a posteriori, a meno di fallimenti plateali. [...] Spesso l'amministratore delegato non pensa soltanto a migliorare i risultati aziendali. Pensa soprattutto a come ingraziarsi le persone che sono fondamentali per la sua nomina. All'epoca della presidenza di Romano Prodi all'IRI, per esempio, era uno spasso vedere tanti aspiranti amministratori delegati che facevano la fila per andare in bicicletta con lui e si allenavano anche per [...] avere chance maggiori di essere nominati quando si liberava un posto. Ma lo stesso succede in Fiat, nelle banche, nelle aziende pubbliche. [...] Di solito gli azionisti di aziende, banche, assicurazioni e simili si sentono rassicurati scegliendo persone conosciute, spesso anche superficialmente [...] Preferiscono persone senza una forte personalità, che quindi diranno di sì a tutte le imposizioni, che non creeranno situazioni di conflitto, che condivideranno le decisioni con chi gli sta sopra e non faranno ombra a nessuno. Un caso da manuale è quello delle ex partecipazioni statali, in cui ci sono manager praticamente inamovibili e che gestiscono aziende da decenni. [...] Ma non grazie alla forza dei risultati raggiunti, piuttosto sulla promessa di essere acquiescenti con il nuovo padrone come lo sono stati con il vecchio." Cuneo non ha peli sulla lingua e fa nomi e cognomi. Per questi, però, leggete il libro!

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