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“Nella sua variante più estrema, tuttavia, l’idea di una risoluzione integrale del valore di verità della filosofia nella sua pura apparenza formale si trova espressa in una pagina bergsoniana, poco nota e poco frequentata, di La pensée et le mouvant che evidenzia – contro le pretese idealistiche di ogni logica del giudizio – le condizioni pure della significazione, la letteralità presemantica e precategoriale, che costituisce inestricabilmente così l’origine come il telos del senso. Richiamandosi a un suo precedente corso su Descartes tenuto al Collége de France, Bergson scrive: “[Durante una lezione], abbiamo preso ad esempio una pagina o due del Discours de la Méthode e abbiamo cercato di mostrare come gli andirivieni del pensiero, ciascuno di direzione determinata, passino dallo spirito di Descartes al nostro grazie all’unico effetto del ritmo, quale è indicato dalla punteggiatura e quale soprattutto lo rileva una corretta lettura ad alta voce”. Siamo qui in prossimità, forse, del significato ultimo che dobbiamo attribuire al chiasma da cui siamo partiti, a quell’intreccio di filosofia e poesia che, scavalcando lo spazio rassicurante della mediazione estetica, dell’“arte estetica”, ci rivela la profondità di una dimensione ontologica del tutto nuova. È una dimensione nella quale non c’è più un alto e un basso, un dentro e un fuori, un’essenza e un’appartenenza, uno sfondo e una figura. Nella profondità del chiasma l’essenza si rivela nell’apparenza, ma questa, a sua volta, trae la propria luce e il proprio senso dall’essenza. È la figura, è la bellezza a rinviarci a quello sfondo, senza il quale essa non potrebbe rivelarsi. La figura dischiude lo sfondo che la illumina. Enigmatico e inestricabile gioco di pieghe e di avvolgimenti, nel quale il chiasma stesso si risolve. In maniera concisa e sublime, già lo aveva detto Tommaso nel suo Commento alla Metafisica di Aristotele: “La ragione per la quale il filosofo viene paragonato al poeta è che entrambi hanno a che fare con lo stupore”». – G. C.
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