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Il principe e il suo sicario. Come Cesare Borgia tolse dal mondo Astorre Manfredi - Gigi Monello - copertina
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Il principe e il suo sicario. Come Cesare Borgia tolse dal mondo Astorre Manfredi - Gigi Monello - copertina
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Descrizione


Roma, Settembre 1499, Rodrigo Borgia, in arte Papa Alessandro VI, volendo metter fine al secolare disordine del suo stato, dichiara decaduti tutti i vicari di Romagna; di nome feudatari, di fatto piccoli re. Con l'apparenza della ragion di stato, ma in realtà per libidine di grandezza, dato a suo figlio Cesare il comando delle milizie, lo incarica di recuperare le antiche dipendenze, concedendogli di farne un dominio tutto suo. Uno dopo l'altro, i signori romagnoli ora scappano, ora son travolti, ora patteggiano la deposizione. La sola Faenza si prepara ad opporsi e a difendere strenuamente il governo dei Manfredi. Attaccata nel Novembre 1500, la città resiste sino all'Aprile successivo, quando, ormai sul punto d'esser presa con la forza, onde evitare le brutture del sacco, capitola ad onorevoli condizioni. Andato a visitare il vincitore, forse circuito dalla sua affabilità, il giovanissimo Astorre accetta di restare con lui. Compiendo l'atto che lo perderà per sempre. Per un anno prigioniero in Castel Sant'Angelo, una notte il disgraziato scompare. Il 4 Giugno 1502 il Tevere ne restituisce il cadavere. Non ha ancora compiuto diciott'anni.
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Dettagli

2014
20 settembre 2014
192 p., ill. , Brossura
9788890677526

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Per andare al sodo, meglio lasciar stare la sinossi e guardare invece le figure: cortigiani inchinati; Arlecchini e Brighella, bastoni e coltelli alla cintola, sinistri, sicarieschi; prostitute fastose; giochi di piazza, cacce al toro; soldatacci, baffuti e barbuti, piumati, archibugi alla mano; e Pulcinelli osceni, a frotte; sbavanti attorno a pentoloni fumanti. Che vuol dire la galleria? È presto detto: è l’Italia profonda, metastorica, l’impasto perenne della nazione, il grumo denso che sopravvive intatto nei secoli; e dai secoli risale sino a tempi vicini. Vicinissimi, anzi. Boccone per vecchi lettori (e rimasticatori) di cose italiche. Usare cautela: posson scaturirne “fughe di idee”. È come se frammenti di mille cose sepolte, prendessero a volteggiare: Ciceruacchio e Masaniello, Porcari e Cola, il Re Cafone e Lazzaretti; Mussolini e Starace: vino, palazzo, bordello, uniformi, cibo; frescure e nefandezze; grandezza e putridume. È l’Italia dell’eterno brigare e corrompere, dell'ammiccamento e del gesticolio, del sangue e del ridere facili; sullo sfondo di un immancabile “pittoresco”. Enigma cattivo e insondabile: non?stato, non?nazione, fabbrica maledetta di avventure individuali prosperanti sopra un popolo come nessun altro permeabile al vitalismo del mascalzone. L’occasione per rivelare questa sorta di struttura atemporale, l’autore va a cercarsela nelle minuzie fattuali di una vicenda locale, la conquista di Faenza per mano di Cesare Borgia, durante quel triennio 1500-1503, che vide il bastardo papale sul punto di procurarsi ?vera botta di fortuna? sostanzioso Principato. Fruga in quelle fangose storie, e là trova l’anima di questo paese: una cosa a mezzo tra sinistro e pagliaccesco, feroce e servile. La patria risulta incatenata a maledizione super?fisica: generare ciclicamente seduttori di diversa fortuna e durata. Tutte le volte che circostanze lo permettano, le maglie larghe de l’etica de noantri, producono l’amorale fiutatore del vento. Sottosuolo irriducibile; infernale stigma. Cesare Borgia? Il prodotto del costume familistico?predatorio che impregna le fibre di un paese precipitato da grandezze imperiali allo sminuzzamento umiliante dei secoli di mezzo e di dopo-mezzo: luogo di giochi altrui, servitù ed affronti. Dal Duca parvenu sino alle ultime vicende del ventennio tele-populista (ma si potrebbero trovare più “palpitanti” prove), un inesorabile destino ci attanaglia; gente inconfondibile. Libro duro e scabro; ma anche gioco barocco ?assai studiato? di incastri, pienezza/ricercante. La scorrazzata è pirotecnica: dettagli su fortificazioni e assedi, conflitti mediterranei, impulsi ventrali del popolaccio romano (altari, carnevali, corse di storpi, porci scannati per gioco); necessità termodinamiche: principi fisici tutto-reggenti: indenni, silenti, ubiqui. Faenza, città assediata da multicolore orda pagata coi santi denari, appare pecora morente dentro un anfratto; sistema entropico che perde energie senza poterle rimpiazzare. L’impossibile repertorio del “tutto”, avvenuto o congetturabile, viene tentato: criteri per un catalogo di tutti i “modi di uscire dal mondo”; disquisizioni idrostatiche sul galleggiamento dei cadaveri (il Tevere abbonda dell'articolo); immaginazioni controfattuali (“che sarebbe accaduto se Astorre non avesse fatto ciò che di fatto fece”); divagazioni antropologiche su mente e sguardo (fan capolino Sartre e Fromm): l’adolescente Astorre chiuso in gabbia, annichilito a 17 anni; il tiranno Cesare, sadico perché spaventato; roso dalla “paura della libertà” che lo muove a sua insaputa; la soldataglia saccheggiante e stupratrice, che il bel tomo si porta dietro, usa a far beffe a base di escrementi; merda cui non mancan metafisici risvolti. Scrittura secca e incalzante; libro irridente e senza riguardi. Liquida con disinvoltura una gloria del Pantheon nazionale, Machiavelli, il consacrato, l’intoccabile, il “fondatore” della scienza politica; straccia Cesare Borgia, per alcune teste sognanti (“signore malate di Rinascimento”) principe dall’alto sentire, capace di unificare anzitempo l’Italia. Piccolo borghese dal cervello sottile, e la penna un po’ sicaria, il primo; attratto dal sogno della personale grandezza dentro una oliatissima macchina-stato. Niente più che un gradasso avido di vita, il secondo; un’energia primitiva, che fiuta e cavalca l’onda delle circostanze; un figlio della fortuna che va cercando nella grandezza e nella signoria sulle altrui esistenze, il lenitivo contro la sua paura di esistere; banale faccenduola che include ? nientedimeno ? la morte. Libro beffardo, serissimo, barocco. Quasi vien da ridere a immaginare che qualcuno lo compri pensando ai Manfredi e ai Borgia, per poi trovarsi davanti Mussolini e Dumini, Berlusconi e Previti. Libro di storia locale “col trucco”, alluso forse da quella citazione introduttiva di “Eros e Priapo” di Gadda. Raccontare una storia, significa perdersi nel mare degli infiniti imbrogli di tutte le altre: “Barocco è il mondo”. DON PAOLINO

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