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Anno edizione: 2015
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Lo si legge tutto d’un fiato come se fosse un romanzo, merito dello stile narrativo diretto ed efficace capace di coinvolgere il lettore fin dalle prime righe, ma nulla di ciò che contiene è frutto di fantasia. Si tratta di una storia vera, una sorta di diario della memoria che David Ottolenghi, dai più conosciuto con il nome d’arte di Gioele Dix, ha raccolto dalla voce di suo padre Vittorio, vittima insieme alla propria famiglia delle leggi razziali fasciste. Del racconto, pubblicato a marzo di quest’anno da Mondadori, Vittorio è il soggetto narrante. Attraverso i suoi occhi il lettore ripercorre gli avvenimenti di quegli anni che vanno dal ’38 al ’43, dapprima attraverso lo sguardo del bambino e poi dell’adolescente capace di elaborare con più maturità la realtà circostante. Spicca, fin dal principio, la figura del padre di Vittorio, Maurizio (il nonno di Gioele Dix), fascista convinto e forse mai pienamente convertitosi all’antifascismo, nonostante il tradimento subito. Una figura che tuttavia non riveste i caratteri dell’ambiguità ma della quale emerge il lato umano ed un’integrità morale in stridente contrasto con la rozza ideologia dei camerati. Ciò che produssero le leggi razziali è noto: perdita dei diritti civili, esclusione dalle scuole, licenziamenti, espropri, ecc., sorte che toccò anche alla famiglia Ottolenghi che, come molti altri ebrei, si salvò fuggendo in Svizzera. Colpisce il senso di quasi normalità che emerge nel corso del racconto, pur nel contesto tragico in cui esso si svolge, malgrado l’accrescersi di situazioni avverse, quasi a sottolineare la banalità del male ed a voler collocare gli accadimenti come parte di un’esperienza esistenziale che ciascuno di noi, in modo diverso, è chiamato ad affrontare. Sappiamo che una variabile apparentemente insignificante poteva allora segnare la differenza tra la vita e la morte. Per Vittorio e la sua famiglia, fortunatamente, gli eventi ebbero una conclusione positiva, tuttavia segnarono pesantemente la sorte del fratello Stefano, morto in giovane età in conseguenza delle malattie contratte durante l’esilio, e quella del cugino Alfredo, suicidatosi dopo essere stato licenziato dall’orchestra sinfonica dell’EIAR in quanto non appartenente alla "razza ariana". La lunga mano del regime nazi-fascista seminava morte anche lontano dai campi di sterminio. L’apice del dolore vissuto in quei momenti è forse sintetizzato nelle parole di Vittorio alla vigilia della fuga oltre confine: "attendevo vigile il momento della sveglia e mi chiedevo perché ci fossimo ridotti così, perché fossimo arrivati a quel punto di non ritorno". Nei quattordici brevi capitoli in cui è suddivisa la narrazione incontriamo diversi personaggi, alcuni di loro appartengono a quella parte della popolazione italiana che si rifiutò di obbedire a leggi basate su teorie razziste che, a differenza di quanto comunemente si pensa, non furono adottate per compiacere l’alleato tedesco, ma furono sviluppate in maniera autonoma dal fascismo (e che solo successivamente si saldarono con le leggi antisemite promulgate in Germania). Tra questi la famiglia Oriani di Como, che diede alla famiglia Ottolenghi temporaneo rifugio, ed il tenente Emilio, grazie al quale essa riuscì a passare il confine. Altri personaggi, come Salvatore, il portinaio dello stabile in cui si trovava l’abitazione milanese della famiglia Ottolenghi, rappresentano invece la folta schiera di coloro che con brachettiana sveltezza cambiarono casacca dopo l’8 settembre, ma che fino a quel momento con il loro silenzio e la loro ignavia si erano resi complici di ciò che stava accadendo, per convinzione o, più semplicemente, per opportunismo. Ogni figura che si muove sulla scena, sia sul versante dell’ingrata patria italiana che su quello dell’"amica confederazione" elvetica, mostra un diverso aspetto della natura umana e induce il lettore a riflettere sull’atteggiamento adottato dalla gente comune quando si trova a dover affrontare eventi non comuni che implicano una scelta di schieramento. Quando si arriva al fondo dell’ultima pagina si ha l’impressione di aver attraversato una tempesta, una di quelle che scoppiano quasi all’improvviso, sottovalutata dai più malgrado le avvisaglie, perché così è avvenuto. E come quando ci si trova nel mezzo di un temporale non rimane che aspettare che tutto finisca per poter ricominciare a vivere. Vittorio è rimasto in silenzio a lungo, quasi trattenuto da una sorta di pudore, prima di raccontare queste cose a suo figlio. Dai loro dialoghi è nato questo libro. Sergio Franzese Recensione pubblicata su HaKeillah 4/2014: <http://www.hakeillah.com>
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