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Favole del morire - Giulio Mozzi - copertina
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Favole del morire

Descrizione


Quindici anni dopo "Il culto dei morti nell'Italia contemporanea", Giulio Mozzi raccoglie in "favole del morire" un piccolo gruppo di testi scritti tra il 2003 e il 2014 nei quali ha continuato a esplorare, secondo le sue parole, "ciò su cui medito tutti i giorni: non la morte, ma il morire". Nulla di consolatorio o di edificante, peraltro, in questo libro che fin dalle sue scelte formali - un andirivieni continuo tra prosa, teatro, verso; un lessico brutale; una sovrapposizione sfrontata di tragico e comico - può sconcertare il lettore. Chi vorrà addentrarsi nelle lettura, incontrerà alla fine del testo la più paradossale delle dichiarazioni di fede (o, forse, di scetticismo radicale): "Questa è la speranza: un'immaginazione".
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Dettagli

2015
1 febbraio 2015
155 p., Brossura
9788898451258

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Innanzitutto, complimenti al nipote dell’autore, Aldo, che ci ha regalato un’immagine di copertina veramente originale: un “misto di orrorifico e di comico” che riflette la natura dei testi, come Giulio Mozzi afferma. Una Morte, il cui tronco è una fisarmonica – strumento musicale capace di evocare atmosfere struggenti, malinconiche e sempre cadenzate sul ritmo di un incessante movimento -, un motociclo che rende l’idea dell’instabilità ed un improbabile cilindro rattoppato… la dedica all’amico Valter Binagli – scrittore, insegnante e musicista – scomparso nel 2013, già lascia presupporre che l’autore considera la vita e la morte come due basilari principi, non antitetici ma compresenti. Ed ecco scorrere davanti ai miei occhi le immagini di una “raccolta di pezzi”, che si coagulano intorno al tema del morire. Dal “Recitativo” al “Preludio”, dal “Concerto” alla “Cantata” la figura paterna emerge prepotentemente dolce nel suo tratto distintivo della dimenticanza. “Io non ricordo nulla” – dice – in contrasto con la dolorosa impossibilità del figlio di seppellire la memoria. E la Morte suona la propria musica e la sua immancabile presenza s’insinua in “Operetta di giugno”, nelle “Tre invocazioni”, nella “Novella con fantasma”, che mi ricorda i temi amati dal grande Dino Buzzati. “Favola del morire” rappresenta il fulcro del pensiero di Giulio Mozzi: l’eternità può esistere soltanto per la bestia, che non sa niente della morte. “Il piede schiaccia il verme./ Il verme non lo sa./ Questa è l’eternità.” Non è, tuttavia, tanto la morte, come fatto oggettivo, a rappresentare una situazione-limite. E non lo è neanche la morte di una persona cara, sebbene rappresenti l’incrinatura più profonda nella vita fenomenica. La situazione-limite veramente decisiva rimane il “morire”, inteso come “la mia morte”, in quanto è tale che non si può conoscere per esperienza, ma soltanto attraverso l’immaginazione. La brillante postfazione di Lorenzo Marchese contribuisce a riflettere con lucidità sul pensiero di Giulio Mozzi, che offre al lettore prospettive dell’essere e del morire filosoficamente stimolanti. Angela Rizzo

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Giulio Mozzi

1960, Camisano Vicentino

"Mi chiamo Giulio Mozzi. Sono nato il 17 giugno 1960 ed abito a Padova. Ho pubblicato alcuni libri di racconti, alcuni libri (anche per le scuole) sull’insegnare a scrivere, e alcune raccolte di racconti e scritti di giovani autori. Non ho mai desiderato essere uno scrittore; e non lo desidero neanche adesso. Ho scritto il mio primo racconto il 17 febbraio 1991, all’età di 31 anni: si trattava dì una lettera alla mia migliore amica, vittima di un furto, nella quale fingevo di essere il ladro e di voler restituire alcuni oggetti cari. La migliore amica mi scrisse (lei era a Londra, all’epoca). «Carino, quel racconto che mi hai mandato». Così realizzai di aver scritto un racconto. La mia unica intenzione era stata di consolare la mia mìgliore...

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