Il Gattopardo. Edizione conforme al manoscritto del 1957 - Giuseppe Tomasi di Lampedusa - copertina
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Letteratura: Italia
Il Gattopardo. Edizione conforme al manoscritto del 1957
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Descrizione


Premio Strega 1959. Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini, sente inevitaile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia, che porta con sé una ricca dote, di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.

Dettagli

10 giugno 2002
300 p.
9788807530043

Valutazioni e recensioni

  • Un grande classico che ancora non avevo letto e che merita tutta la sua fama. Tomasi di Lampedusa descrive in maniera magistrale l'ambiente della nobiltà siciliana a cavallo dell'unità d'Italia. Lo stile di scrittura è raffinato ma assolutamente piacevole e non pesante.Le descrizioni dei palazzi nobiliari,dei vestiti, dei banchetti letteralmente incantano e alcune affermazioni contenute nel libro sono giustamente entrate nella storia ( "Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi"). Libro che dovrebbe essere presente nelle biblioteche di tutti e magari anche adottato come libro di testo scolastico al posto di altri classici orma desueti.

  • Enrico Caramuscio

    Siamo in pieno Risorgimento e lo sbarco a Marsala di mille camicie rosse guidate dal generale Garibaldi porta un’irreversibile sconvolgimento socio-politico negli equilibri siciliani: l’aristocrazia borbonica, classe finora dominante sull’isola, sta per essere soppiantata dall’ambiziosa e ascendente borghesia. Don Fabrizio, principe di Salina, vive questi cambiamenti con l’amara consapevolezza dell’inevitabile declino del ceto cui appartiene. Imponente, colto, elegante, ma anche burbero, altero, diffidente e tormentato da funerei pensieri, il protagonista del libro dedica il suo tempo alla caccia, a qualche peccatuccio extraconiugale e soprattutto allo studio degli astri, vero e proprio rifugio per la sua anima troppo spesso angustiata. Intelligente e scettico, si rende presto conto che l’impeto innovatore nato con l’Unità d’Italia porterà soltanto l’illusione del cambiamento, ma le cose resteranno sempre uguali. Anche il sorpasso che l’aristocrazia subisce nella scala sociale serve a ben poco, anzi, non fa altro che peggiorare le cose, perché manda al potere una borghesia incolta e ferocemente assetata di potere e denaro. Per salvare il salvabile Don Fabrizio si vedrà costretto a fare buon viso a cattivo gioco e ad imparentarsi con uno dei maggiori rappresentanti del rozzo ceto rampante, il tanto disprezzato Calogero Sedara, esempio lampante di una nuova classe dirigente arricchitasi troppo in fretta. Ma il matrimonio tra il suo amato nipote Tancredi, per lui l’unico discente degno di essere il suo erede, e Angelica Sedara, pur permettendo la sopravvivenza del suo antico e nobile casato, non riuscirà comunque a salvare il Principe disilluso da un’inevitabile morte spirituale, nonché fisica. La bellezza della Sicilia, il fascino dell’epoca in cui il romanzo è ambientato, il carisma del protagonista, lo stile elegante dell’autore sono tutti elementi che rendono quest’opera uno dei maggiori capolavori della letteratura del novecento. Interessante l’analisi storica, ottima quella psicologica del protagonista, ricercato il lessico, piacevole la presenza di personaggi secondari simpatici e ben curati come Padre Pirrone, Don Ciccio Tumeo e il cane Bendicò. Bella e struggente la parte dedicata alla morte di Salina, ma il meglio dell’opera sta forse nel dialogo tra il Principe e il prefetto Chevalley, aspra, rassegnata e pungente constatazione sull’immutabilità patologica della Sicilia e dei Siciliani, ma più in generale dell’uomo e del mondo intero. “Tutto cambia affinché nulla cambi” è un motto certamente ancora e sempre più valido in un’epoca, la nostra, caratterizzata da una finta politica dell’alternanza e dalle frottole del bipolarismo e del “voto utile”.

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Foto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Giuseppe Tomasi di Lampedusa

1896, Palermo

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, duca di Palma e principe di Lampedusa si formò su scritti illuministici e raccolte di relazioni militari. Il suo casato ha origini bizantine ed è uno dei più antichi del Regno delle Due Sicilie. Da bambino studiò nella sua casa a Palermo sotto l'insegnamento di una maestra, della madre e della nonna, che gli leggeva i romanzi di Emilio Salgari. Frequentò il liceo classico a Roma e in seguito a Palermo. Sempre a Roma nel 1915 s'iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, senza terminare gli studi. Nello stesso anno venne chiamato alle armi, partecipò alla disfatta di Caporetto e fu fatto prigioniero dagli Austriaci, in Ungheria. Riuscito a fuggire, tornò a piedi in Italia. Divenne narratore solo nella seconda...

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