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“Volti nell’acqua” non è un thriller e nemmeno un horror, anche se leggerlo fa pensare che a volte la vita umana sia più piena di orrore di qualsiasi fantasia. Istina Mavet, protagonista, nonché narratrice, di questo romanzo non è altri che la stessa Janet Frame. Attraverso lei, dopo anni, l'autrice ha trovato il coraggio di parlare della sua esperienza in un ospedale psichiatrico, dopo la diagnosi, sbagliata, di schizofrenia. Il tutto avvenuto in un'epoca in cui la schizofrenia ancora non era compresa. Attraverso questo romanzo, le porte del manicomio si aprono non solo per Istina Mavet, ma anche per noi. Janet Frame ci racconta un viaggio all’inferno, un girone alla volta. Ci afferra in un gorgo, dalle spirali sempre più strette, dove compaiono i volti. I volti di tutti coloro che non sono stati compresi; di tutti coloro che non erano altro che bestie in uno zoo; di tutti coloro che non valevano abbastanza per sperare in una cura; di tutti coloro davanti a cui l’abisso ha aperto le fauci, attirandoli a sé, divorandoli, scomponendoli in mille pezzi fatti di ricordi, sensazioni, paure. E quando, finalmente, arriviamo alla fine di quel furioso turbinio, le porte dell’ospedale psichiatrico si chiudono dietro di noi. Tiriamo un sospiro di sollievo, sorridiamo alla nostra libertà e ci giriamo a guardare ciò che ci siamo lasciati alle spalle, quelle pagine cariche di solitudine e amore, di pazzia e di genialità. E il sorriso muore sulle labbra, al pensiero di tutti i volti che da quel gorgo non sono mai usciti. Né usciranno mai.
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