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Le prime frasi del libro:
Credo di non aver confuso ancora mai la finzione con la realtà, anche se le ho mescolate in più di una circostanza come tutti quanti, non soltanto i romanzieri, non soltanto gli scrittori ma coloro che hanno raccontato qualcosa da quando è cominciato il nostro tempo conosciuto, e in questo tempo conosciuto nessuno ha fatto altro che raccontare e raccontare, o preparare e meditare il suo racconto, o ordirlo. Quindi, qualcuno racconta un aneddoto su quanto gli è successo e per il semplice fatto di raccontarlo lo sta già deformando o forzando, la lingua non può riprodurre i fatti e quindi non dovrebbe neppure tentare di farlo, ed ecco perciò che in alcuni processi, immagino - in quelli dei film, che sono quelli che conosco meglio -, si chiede a coloro che sono coinvolti una ricostruzione materiale o fisica dell'accaduto, si chiede di ripetere i gesti, i movimenti, i passi avvelenati che hanno percorso o come hanno pugnalato per diventare colpevoli, e di impugnare ancora una volta l'arma e di assestare il colpo a chi ha cessato di essere e non è più per causa loro, o in aria, perché non è sufficiente che lo dicano o lo raccontino con la massima precisione e con la massima imparzialità, bisogna vederlo e si richiede loro una imitazione, una rappresentazione o messa in scena, anche se adesso senza il pugnale in mano o senza il corpo in cui infiggerlo - sacco di farina, sacco di carne -, adesso a freddo e senza aggiungere un altro delitto né una nuova vittima, adesso soltanto come simulazione e ricordo, perché quello che non possono mai riprodurre è il tempo passato o perduto né resuscitare il morto che ormai è passato e si è perduto in quel tempo.
Ciò indica una insicurezza estrema della parola, tra l'altro perché la parola - compresa quella parlata, compresa la più rozza - è in se stessa metaforica e pertanto imprecisa, e inoltre non la si concepisce priva di ornamento, spesso involontario, ce n'è perfino nell'esposizione più arida e di solito ce n'è nell'esclamazione e nell'insulto. È sufficiente che qualcuno introduca un "come se" nel suo racconto; addirittura, è sufficiente che faccia una similitudine o una comparazione o parli in maniera figurata ("è diventato una furia" o "si è comportato da cafone", questo genere di espressione colloquiale che appartiene più alla lingua che a colui che parla e la sceglie, non serve di più) perché la finzione si insinui nella narrazione dell'accaduto e lo alteri e lo falsi. In realtà la vecchia aspirazione di ogni cronista o sopravvissuto, riferire l'accaduto, dare conto di quel che avvenne, lasciare traccia dei fatti e dei delitti e delle gesta, è una pura illusione o chimera, o meglio la frase stessa, quel concetto stesso, sono già metaforici e fanno parte della finzione. "Riferire l'accaduto" è inconcepibile e vano, o piuttosto è possibile soltanto come invenzione. Anche l'idea di testimonianza è vana e non c'è testimone che possa in verità assolvere il proprio impegno. E oltretutto ognuno dimentica sempre troppi istanti, perfino ore e giorni e mesi e anni, e la cicatrice di una coscia che vide e baciò ogni giorno per lungo tempo del suo tempo conosciuto e perduto. Dimentica anni interi, e non necessariamente i più insignificanti.
E tuttavia mi allineerò qui con quelli che hanno preteso di farlo qualche volta o hanno finto di esserci riusciti, riferirò quel che è accaduto o quel che è stato riscontrato o soltanto saputo - l'accaduto nella mia esperienza, o nella mia fabulazione, o nella mia conoscenza, o tutto è soltanto coscienza che non cessa mai - come legame con la scrittura e con la divulgazione di un romanzo, di un'opera di finzione. Non è certo cosa grande né ancora grave e neppure eccitante, forse potrà essere divertente per il lettore curioso disposto ad accompagnarmi in principio, per me ha il divertimento del rischio di raccontare senza motivo e quasi senza ordine e senza tracciare un piano e senza ricercare coerenza, come se lo facessi con una voce capricciosa e imprevedibile ma che tutti conosciamo, la voce del tempo quando ancora non è passato né si è perduto e forse per questo neppure è tempo, forse lo è soltanto quello che è trascorso e può essere raccontato o così sembra, e che per questo è l'unico ambiguo. Credo che quella voce che sentiamo sia sempre fittizia, forse lo sarà qui la mia.
Non sono il primo e non sarò l'ultimo scrittore la cui vita si arricchisce o si danna o soltanto varia a causa di quel che ha immaginato o fabulato e scritto e pubblicato. A differenza di quanto succede nei veri romanzi di finzione, gli elementi di questo racconto che comincio adesso sono del tutto casuali e irragionevoli, puramente episodici e accumulativi - tutti impertinenti secondo la puerile formula critica, o nessuno avrebbe bisogno dell'altro -, perché in fondo non è un autore a guidarli anche se sono io a raccontarli, non corrispondono a nessun progetto e non sono governati da nessuna bussola, la maggior parte proviene da fuori e sono privi di intenzionalità; quindi, non devono necessariamente dare luogo a un senso né costituiscono un argomento o una trama né obbediscono a un'occulta armonia e non soltanto non se ne deve ricavare una lezione - neppure dai veri romanzi si dovrebbe pretendere una cosa simile, e soprattutto non dovrebbero pretenderlo essi -, ma neppure una storia con il suo principio e con la sua attesa e il suo silenzio finale. Non credo che tutto questo sia una storia, anche se posso sbagliare dal momento che non conosco la fine.