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La storia di Meister Eckhart fa capolino nella teologia cristiana con la sinistra asimmetria concettuale dei numeri primi. La prima conseguenza è la determinazione attribuita dal famoso libro di Paolo Giordano, la solitudine: Eckhart è solo, anche oggi che viene riscoperto da Vannini e menzionato da Cacciari. I più ortodossi ammontano che persino Dante (l'esule) aveva ricreato per Dante (uomo) la guida spirituale per l'ottimo cammino alla contemplazione divina trovandosi invece nelle più misere condizioni di peregrino, e che quindi nulla di più nobile sia tutto sommato il prendere su di sè la propria Croce in guisa di caduceo a sigillo della propria miseria e in-Uno della più alta immagine filiale, tanto più quando si intenda procedere in un simile cammino da "Uomo nobile" che farebbe paura persino al più accanito ammiratore dell'Antico Testamento. E così, l'altezza del pensiero, la larghezza e la sua profondità (quanto al nostro fosse gradito l'Apostolo, lo sa solo Dio...) costarono la bolla "in agro dominico" prima e un tardivo riconoscimento poi, accresciuto se non altro dalla fama che segue i soliti irreperibili dell'editoria, ragion per cui ringrazio sempre Adelphi per la qualità della sua proposta di lettura, e forse da oggi anche Dio ogni qualvolta mi libera da Dio secondo la dinamica consolatoria di Roma 9,3 ribadita in più parti attraverso le quattro scritture racchiuse nell'opera in oggetto. Operano i più che da tempo si è nobilmente sconsolati anche nell'Aut-Aut dell'intra moenia esistenziale senza essere particolarmente oberati di propositi del salvifico, ribattendo al teologo domenicano di Turinga che da sempre entrambi gli uomini (l'inferiore ed il superiore, ormai nella confusione dei ruoli grazie alla progressiva svalutazione dei valori) desiderano evadere dalla gravità dello stare "in re". Ma se per amore delle sue parole e per credito nei suoi confronti, reputiamo Eckhart dottore di Verità più di un accorato padre di famiglia danese seppur in odore di filosofo, non ci resterebbe che credergli: l'Uomo Nobile è solo colui al quale la molteplicità dell'ente non da più noia, perché da buon coltivatore - anzi ottimo - del seme divino (Logos) in sè, in capo ad un periplo di consolazioni e tribolazioni affidate da Dio per direttissima in concordanza di Grazia e realtà delle cose, ha generato finalmente il Figlio ed è ormai giunto alla fine del cammino di sua vita concludendo entrambi laddove per altro ha inizio l'Eterno Presente di Dio: puro Essere, Sommo Bene e via via ogni definizione di sapore plotinico. E se ne guarda persino lo stesso Meister domenicano dal dover ritornare nel nulla "di sè" a doversene far ragione - della conoscenza dell'Uno (le ultime parole della penultima pagina sono abbastanza eloquenti...) Straordinariamente umano da seccarsi quanto basta, e al di fuori di ogni gioco linguistico una lettura intensa alla quale dovrebbe seguire quella dei suoi sermoni tedeschi - per ancor meglio assaporare la calma trasognata delle sue acque predicatori.
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