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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2015
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Indice
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Ogni volta che inizio un nuovo libro di Coetzee una piccola parte di me sotto sotto spera di scovare l'imperfezione, di percepire una perdita di tono, un cedimento rispetto agli standard eccelsi a cui ci abitua, se non altro per essere rassicurata del fatto che mi trovo davanti al prodotto di un essere umano fallibile. Quella piccola parte di me rimane puntualmente sconfitta su tutta la linea. Questa volta la protagonista è una donna ( e io tremo ogni volta che ho a che fare con protagoniste femminili, se posso le evito ) che dopo aver vissuto l'esperienza del naufragio su un'Isola deserta torna in patria portandosi dietro l'ossessione di dover rendere immortale la propria storia. Così si rivolgerà al Signor Foe ( ovvero Daniel Defoe, ovviamente ) sperando che accontenti la sua esigenza. Purtroppo si troverà a sbattere contro la sua reticenza, che lo renderà inizialmente elusivo, per via della totale mancanza di attrattiva della vicenda da lei vissuta. Niente cannibali sanguinari, niente storie d'amore travolgenti, nessun ritorno agli istinti primordiali. Solo silenzio, solitudine condivisa con l'uomo che la raccolse dalle acque, refrattario a qualsiasi forma di condivisione e dialogo e il suo schiavo Venerdì, reso muto dall'amputazione della lingua fin dall'infanzia. Non ci sono gli elementi tragici e il dinamismo o il romanticismo che rendono una storia vendibile. Da qui Coetzee tira le fila innanzitutto per quella che a me è sembrata una dichiarazione d'amore spassionata verso la letteratura come arte ma allo stesso tempo pone la questione della sofisticazione della verità, della sua manipolazione e del sottile confine tra finzione e realtà che qui si mescolano rendendo lo stesso lettore realmente confuso e disorientato tanto quanto la protagonista, che è a un tempo il personaggio fittizio dello scrittore e la persona concreta nella propria personale esperienza. D'altro canto riporta in qualche modo l'esperienza coloniale, che oltre ad aver privato gli indigeni di qualsiasi diritto su se stessi e sulla loro terra, li ha anche privati della parola. Della facoltà di raccontare la propria storia.
Un testo che riesce a sorprendere, nonostante la storia a cui fa riferimento "Robinson Crusoe" sia ben nota. Robinson Crusoe, opera scritta da Daniel Defoe, conosciuta per essere il primo vero e proprio romanzo britannico, è divenuto il manifesto del colonialismo inglese. Marx ritrova in Robinson il primo vero e proprio capitalista, Coetzee invece vuole mettere in risalto un altro aspetto. Robinson, nel suo incontro con Friday (nell'opera di Defoe) subito pensa di ''sottometterlo'', non pensa di poter imparare qualcosa da lui, i suoi usi e costumi, ma decide immediatamente di insegnargli la sua lingua e di farne un cristiano, proprio per questo motivo è il simbolo dell'imposizione della cultura inglese nel periodo del colonialismo. Coetzee decide, invece, di ribaltare tutto, vuole far capire il suo punto di vista accentuando alcuni tratti dell'opera originale e capovolgendone altri. Friday ad esempio, lo scopriamo già dalle prime pagine, è muto. Muto perché in ogni caso non è riuscito ad esprimersi nel contatto con il "padrone" Robinson, nell'opera di Defoe, Ancora, la protagonista è una donna, Susan Barton, che racconta quanto avviene sull'isola.. cosa che non avviene per l'opera di Defoe in cui la donna non viene quasi mai nemmeno nominata.
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