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Anno edizione: 2016
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Una critica lucida ma sintetica del rapporto tra cervello, tecnologia e globalizzazione. L'autore cerca di spiegare, facendo ricorso alle sue estese conoscenze nell'ambito delle neuroscienze, come la modernità abbia influito negativamente sui meccanismi di funzionamento del cervello, basati su processi relativamente lenti rispetto alla velocità di calcolo dei nuovi strumenti tecnologici ai quali la modernità ci chiede di adattarci. Questo sfocia in una utilitaristica semplificazione del pensiero umano che deve essere finalizzato alla risoluzione dei banali problemi della vita quotidiana e perde quelle inutili sfaccettature che però l'arricchivano ed elevavano chi lo produceva. Lo stile è molto semplice nonostante gli argomenti trattati, è fruibile anche ai non addetti ai lavori.
La ribellione del titolo è quella contro tutto ciò che tecnologia e globalizzazione fanno alla fisiologia del nostro cervello; - quest'ultimo è rimasto immutato mentre le tecnologie della comunicazione diventano sempre più veloci; - le tecnologie fanno arrivare al cervello molti stimoli; ma paradossalmente molti stimoli equivalgono a maggiore solitudine; quella di chi in una stanza risponde solo agli stimoli che giungono dal computer; - la velocità di comunicazione della rete influenza il cervello spostandone il funzionamento sul pensiero rapido a scapito di quello lento che sta alla base della riflessione e della decisione responsabile. Dal canto suo l'economia globalizzata ha fatto perdere il gusto della conoscenza per la conoscenza privilegiando la ricerca di risultati e utilità. L'autore è un neurobiologo, accademico dei lincei, e solleva problemi reali. Ma sembra animato dal rimpianto di un tempo che fu. La sfida è capire come il cervello (cioè noi) possa dominare tecnologia e globalizzazione senza esserne snaturato o travolto.
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