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Per la prima volta, dopo anni di studi dedicati ai temi dell'identità ebraica in letteratura e nella società, agli archetipi letterari e ai miti di fondazione delle diverse coscienze nazionali, Leslie Fiedler ha deciso di raccogliere in un libro quegli scritti, altrettanti passaggi spericolati sulla china di un tetto scosceso.E sono scritti forti, eclettici, di un professore che resiste a tutte le chiusure accademiche e insiste a riportare quelle trame mitiche nel tessuto sociale, svelando per esempio la persistenza dell'antisemitismo nei modelli letterari, ma anche nei modi di pensare delle classi più povere. Saggi spiazzanti, come quelli su Joyce, letto una volta tanto non dalla parte di Stephen Dedalus ma da quella di Bloom: un Joyce-Fiedler-Bloom, padre ebreo buono e patetico. O Cristo ebreo, Ulisse ebreo, sotto il segno della persecuzione e dell'esilio. Scritti ricchissimi di riferimenti e di inedite associazioni come quello sul Santo Graal; il cui mito, con un paradosso inquietante, viene ricondotto a una rilettura delle Sacre Scritture secondo la vulgata cristiana. E su questo tema ritorna un secondo saggio dal singolare titolo: "Perché il Cavaliere del Santo Graal è ebreo?".Protagonisti di queste pagine sono i grandi scrittori della tradizione ebraica americana, ma anche le posizioni, definite post-ebraiche, di autori più recenti, che fanno un uso ambiguo e autolesionista dell'arma dell'ironia. Una meditazione su Giobbe e una conclusione su Olocausto e Memoria chiudono, completando un quadro irriverente, le riflessioni del più irriducibile dei «critici» tout-court.
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