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È importante chiarire che questo libro non è stato scritto da Castagna, come la grafica di copertina vorrebbe far credere. Le frasi di Carlo Castagna sono poche e perlopiù inserite come citazioni a corollario e conferma delle considerazioni dell’autrice. In generale il libro non arriva ad argomentare in modo esaustivo l’atto più sorprendente e potente della strage: il perdono. Nella storia dell’uomo gesti come quello di Castagna sono rari e preziosi. Non è quindi l’ennesima strage a dover far notizia ma la nobiltà d’animo. Un atto che ha ridato dignità all’esistenza, che non cancella i fatti ma da loro un significato. Voglio pensare che questo fosse l’intento dell’autrice e sono dispiaciuto che non l’abbia realizzato. L’altro grosso errore è stato quello di viziare la rilettura del perdono con il proprio credo religioso. In quanto conoscitrice della religione cristiana era suo compito spogliare le dichiarazioni di Castagna dalla religione stessa, rendendole così comprensibili a chi non ha la stessa vocazione del protagonista. Questo libro prende in considerazione il perdono unicamente come un atto religioso mentre, dal mio punto di vista, quello di Castagna è il frutto della natura umana più alta, anteposta all’istinto animale da cui questa strage ha avuto origine. Invece ci si trova davanti, ancora una volta, alla contrapposizione fra i cristiani e tutti gli altri, compreso l’islamico Azouz. Piuttosto questa vicenda evidenzia che chi coltiva la propria spiritualità fa crescere la propria umanità. Che la religione, qualsiasi essa sia, è uno strumento per vivere la vita coerentemente con la natura umana e non è la spiritualità stessa. Il libro torna spesso a raccontare i fatti, le verità processuali e i colpevoli. Gli stessi fatti e le stesse verità che non sembrano più nemmeno così certi… ma questa è un’altra storia. Fra le poche parti interessanti del libro è da segnalare il capitolo intitolato “Opinioni a confronto”. Qui sono raccolte alcune considerazioni, relative al perdono espresso da Castagna, apparse sui quotidiani negli stessi giorni in cui i fatti si svolgevano. Di contro il libro si chiude nel modo peggiore: una lettera scritta dall’autrice a Raffaella Castagna, figlia di Carlo e vittima della strage. Lettera che appare come un tentativo, maldestro e sentimentale, di conquistare il lettore all’ultima pagina.
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