La storia finisce qui

“La storia finisce qui” di Lucia Ravera (Mursia) è uno di quei libri che difficilmente si possono classificare all’interno di un genere letterario. Non è un romanzo sentimentale, né storico, né sociale… è un romanzo non romanzo che tuttavia non può non piacere. L’autrice riesce in poco più di 90 pagine a raccontare un’intensa storia d’amore e di dolore, di speranza e di disillusione, tenendo su due piani paralleli la vicenda personale della protagonista, figlia di una cascina della Bassa padana in viaggio nel “mondo” alla ricerca di una vita “normale” e l’atmosfera fibrillante della Storia del nostro Paese dagli anni ’50 fino al principio del 1970. A colpire il lettore, oltre l’intreccio retto da un ritmo ottimamente dosato, è il lessico. Un lessico lontano, dagli echi perduti, che ammalia, commuove e fa sorridere, senza fronzoli né artifizi letterari, per lasciare intatto un caleidoscopio di sensazioni. L’odore della terra grassa dei campi, quello acre della morte, il colore dei covoni di fieno, quello di cipria nei bordelli, il sapore della polenta bruciacchiata nel piatto, quello amaro delle botte, il fruscio delle bandiere a sventolare tra le piazze, quello della consistenza ruvida della sconfitta… Emozioni, dunque, raccontate da una voce che non ha voce, ma che, per quello strano gioco a incastri che è la vita, -come ribadisce l’autrice- arriva dritta al cuore di chi sa ascoltare nuovi e indimenticabili alfabeti.