Le prime pagine
Storie marginali
Un paio di anni fa visitai il campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania. In mezzo a un silenzio atroce, feci il giro delle fosse comuni in cui giacciono migliaia di vittime dell'orrore nazista, chiedendomi dove fossero i resti di una certa bambina che ci ha lasciato la più commovente testimonianza di quella barbarie e la certezza che la parola scritta è il più grande e invulnerabile dei rifugi, perché le sue pietre sono unite dalla malta della memoria. Cercai ovunque, ma invano: non trovai alcun indizio che mi portasse ad Anna Frank.
Alla morte fisica, i boia avevano aggiunto la seconda morte dell'oblio e dell'anonimato. "Un morto è uno scandalo, mille morti sono una statistica" affermava Goebbels, e questo è quanto hanno sempre detto e continuano a ripetere i militari cileni e argentini e i loro complici mascherati da democratici. Questo è quanto hanno detto e continuano a ripetere i Milo_evi_, i Mladi_ e i loro complici mascherati da negoziatori di pace. Questo è quanto ci viene continuamente sputato in faccia dai massacratori dell'Algeria, così vicina all'Europa.
Bergen Belsen non è certo un posto da passeggiate, perché il peso dell'infamia opprime, e all'angoscia del "cosa posso fare io perché tutto questo non si ripeta mai più?" subentra il desiderio di conoscere e narrare la storia di ciascuna delle vittime, di aggrapparsi alla parola come unico scongiuro contro l'oblio, di dare nome e voce alle vicende gloriose o insignificanti dei nostri genitori, dei nostri amori, dei nostri figli, dei nostri vicini e dei nostri amici, di trasformare la vita in una vera e propria forma di resistenza contro l'oblio, perché, come ha detto il poeta Guimarâes Rosa, narrare è resistere.
In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l'aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: "Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia".
Ho visto le opere di molti pittori, ma scusate, a parte
Il grido di Munch, ancora non conosco il brivido d'emozione che può provocare un dipinto. Ho anche osservato innumerevoli sculture e solo in quelle di Agustín Ibarrola ho trovato passione e tenerezza espresse in un linguaggio che le parole non raggiungeranno mai. Credo di aver letto un migliaio di libri, ma mai un testo che mi sia parso così duro, così enigmatico, così bello e al tempo stesso così straziante come quello inciso nella pietra.
"Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia" aveva scritto una donna, forse, o un uomo. E quando? Pensava alla sua saga personale, unica e irripetibile, o l'aveva fatto in nome di tutti coloro che non vengono mai citati nei notiziari, che non hanno biografie, ma solo un labile passaggio per le strade della vita?
Non so quanto tempo rimasi davanti a quella pietra, ma man mano che scendeva la sera vidi che altre mani passavano sull'iscrizione per impedire che fosse ricoperta dalla polvere dell'oblio. Erano quelle di un tedesco, Fritz Niemand, Federico Nessuno, che sopravvissuto all'orrore nazista gira cieco la Germania cercando le voci dei carnefici. Di un argentino, Lucas, che stufo di discorsi ipocriti decise di salvare i boschi della Patagonia andina con il solo aiuto delle sue mani. Di un cileno, il professor Gálvez, che in un esilio mai capito sognava la sua vecchia aula scolastica e si svegliava con le dita sporche di gesso. Di un ecuadoriano, Vidal, che sopportava i pestaggi dei latifondisti raccomandandosi a Greta Garbo. Di un italiano, Giuseppe, che era giunto in Cile per errore, aveva trovato i suoi migliori amici per errore, era stato felice a causa di un altro enorme errore e rivendicava il diritto di sbagliarsi. Di un bengalese, Simpah, che ama le navi e le porta alla demolizione ricordando loro le bellezze dei mari che hanno solcato. E del mio amico Fredy Taberna, che affrontò i suoi assassini cantando...
Tutti loro, e molti altri, erano lì a togliere la polvere dalle parole incise nella pietra e io capii che dovevo raccontare le loro storie.