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Le prime frasi del romanzo:
Non hai rispettato lo stop. Sei passata in volata con la tua giacca di finto lupo, gli auricolari del walkman pressati nelle orecchie. Aveva appena piovuto, e presto sarebbe tornato a piovere. Oltre le ultime fronde dei platani, oltre le antenne, gli storni affollavano la luce cinerea, folate di piume e garriti, chiazze nere che oscillavano, si sfioravano senza ferirsi, poi si aprivano, si sperdevano, prima di tornare a serrarsi in un altro volo. In basso, i passanti avevano il giornale o anche solo le mani sulla testa per proteggersi dalla grandine di sterco che pioveva dal cielo e s'accumulava sull'asfalto insieme alle foglie bagnate cadute dagli alberi, spargendo in giro un odore dolciastro e opprimente che tutti avevano fretta di lasciarsi alle spalle.
Sei arrivata dal fondo del viale, in volata verso l'incrocio. Ce l'avevi quasi fatta, e quello della macchina ce l'aveva quasi fatta a schivarti. Ma c'era fango per terra, guano oleoso di storni in raduno. Le ruote della macchina hanno slittato dentro quella crosta sdrucciolevole, poco, ma quel poco è bastato a sfiorare il tuo scooter. Sei andata su verso gli uccelli e sei tornata giù dentro la loro merda, e insieme a te è tornato il tuo zaino con gli adesivi. Due dei tuoi quaderni sono finiti al limite del marciapiede in una pozzanghera d'acqua nera. Il casco è rimbalzato sulla strada come una testa vuota, non l'avevi agganciato. I passi di qualcuno ti hanno subito raggiunta. Avevi gli occhi aperti, la bocca sporca, senza più incisivi. L'asfalto ti era entrato nella pelle, punteggiandoti le guance come la barba di un uomo. La musica si era interrotta, gli auricolari del walkman erano scivolati dentro i tuoi capelli. L'uomo della macchina ha lasciato lo sportello spalancato ed è venuto verso di te, ha guardato la tua fronte aperta e si è portato le mani in tasca per cercare il cellulare, lo ha trovato, ma gli è caduto dalle mani. Un ragazzo lo ha raccolto, è stato lui a chiamare i primi soccorsi. Intanto il traffico s'era fermato. C'era quella macchina di traverso sulle rotaie e tram non poteva passare. L'autista è sceso, sono scesi in molti, e hanno camminato verso di te. Gente che non avevi mai visto ti ha sfiorato con lo sguardo. Un piccolo gemito ti è uscito dalle labbra insieme a un bozzolo di schiuma rosata, mentre te ne andavi dalla vita vigile. Tu non avevi più fretta. Eri ferma dentro la tua giacca di pelo come un uccello senza vento.
Poi hanno scavalcato il traffico con le sirene spiegate. Le macchine si sono strette contro il guardraill, hanno sconfinato oltre il marciapiede sul lungo fiume, mentre la bottiglia della fisiologica ballava sulla tua testa, e una mano lasciava e stringeva il pallone azzurro del va e vieni per pomparti il respiro nei polmoni. Al pronto soccorso la rianimatrice che ti ha preso in consegna ti ha spinto un dito tra la mandibola e osso ioide, in un punto del dolore. Il tuo corpo ha reagito troppo lievemente. Ha preso delle garze e ti ha pulito il sangue che scendeva dalla fronte. Ti ha guardato le pupille, erano immobili e dissimili. Il respiro era bradipnoico. Ti hanno infilato in bocca una cannula di Guedel, per riposizionarti la lingua che era scivolata all'indietro, poi hanno inserito il sondino dell'aspirazione. Hanno tirato su sangue, catrame, muco, e un dente. Ti hanno attaccata la clip del saturimetro al dito per misurare l'ossigenazione del sangue, la percentuale di ossiemoglobina era troppo bassa: ottantacinque per cento. Allora ti hanno intubata. La lama del laringoscopio ti è scivolata in bocca con la sua luce algida. È entrato un infermiere spingendo la colonna del monitoraggio cardiaco, ha infilato la spina ma la macchina non è partita. Le hanno dato un colpo, un piccolo colpo di lato, e il monitor s'è acceso. Ti hanno alzato la maglietta, ti hanno premuto sul petto le ventose degli elettrodi. Hai aspettato un po' perché la sala TAC non era libera, poi ti hanno infilato nel tunnel di irradiazione. Il traume non era nella zona temporale. Oltre il vetro, la rianimatrice ha chiesto al radiologo di fare nuove sezioni, più ravvicinate. Hanno visto la profondità e l'estensione dell'ematoma fuori dal parenchima cerebrale. L'ematoma da contraccolpo, se c'era, non era ancora visibile. Ma non ti hanno mandato in vena il mezzo di contrasto, temevano complicazioni renali. Hanno subito chiamato il terzo piano perché preparassero la sala operatoria. La rianimatrice ha chiesto: "Chi c'è di turno in neurochirurgia?".