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Saint Morrissey. Psicobiografia dell'ultima popstar - Mark Simpson - copertina
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Saint Morrissey. Psicobiografia dell'ultima popstar - Mark Simpson - copertina
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Descrizione


È arrivato il momento di raccontare la storia del ragazzo con la spina nel fianco, figlio di una timidezza criminalmente volgare, che siede nella sua stanza a preparare un piano mentre gli altri conquistano l'amore, perché il suo non è un amore come tutti gli altri, e nella vita c'è più dei libri, ma non molto. Tutti gli uomini hanno dei segreti, e questo è il suo: è ancora malato, e chi sa se è il corpo a dominare la mente, o la mente il corpo? E poi, che differenza fa? E così facile ridere, è così facile odiare, ci vuole fegato a essere gentili mentre la pioggia cade forte su una città noiosa, dove ogni elettrodomestico è come una nuova scienza. Ha provato a vivere nel mondo reale, e non in un bozzolo, ma si è annoiato ancor prima di cominciare. Non ha molto nella sua vita, ma potete prenderlo, è vostro. Non dimenticate le canzoni che vi hanno fatto sorridere, e le canzoni che vi hanno fatto piangere, e quando state ballando, e ridendo, e finalmente vivendo, sentite la sua voce nella vostra testa e pensate a lui con affetto.
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Dettagli

2009
28 maggio 2009
227 p., Brossura
9788862310598

Valutazioni e recensioni

Alessandro_87
Recensioni: 3/5
Pensavo meglio

Onestamente non mi ha coinvolto particolarmente... molto ridondante e limitato per un personaggio come Morrissey.

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Lucia Viola
Recensioni: 5/5

Il mancuniano Steven Patrick Morrissey, ex leader degli Smiths, è noto per essere uno che si piange addosso, uno che si ritiene maltrattato, non amato. Nel ‘92, infatti, in un’intervista per “Details”, ha ammesso che non può neanche immaginare cosa significhi essere ricambiato, amato da qualcuno che si ama. Due anni dopo ha riconosciuto, però, che, se non è amato, è almeno stimato, affermando per “Select”: «Dick Bogarde mi ha mandato una cartolina, Alan Bennett se ne sta seduto a prendere il tè nella cucina e David Bowie ha cantato splendidamente una delle mie canzoni. Cos’altro cerco? Che diritto ho di starmene corrucciato a lamentarmi?». Ciononostante nel 2009 ha trovato ancora il coraggio di lamentarsi e nel pezzo “I’m Throwing My Arms Around Paris”, contenuto in “Years of Refusal”, canta: «Ho deciso di gettare le braccia attorno a Parigi, poiché solo pietre e acciaio accettano il mio amore». Queste parole vennero incise su disco un po’ di tempo dopo la pubblicazione della “psicobiografia” di Mark Simpson, in cui si può dire che il giornalista gli ha fatto una vera e propria dichiarazione d’amore, sebbene lo abbia oltraggiato dandogli del vecchio piagnone e del matto: «Tutti sanno che Morrissey è pazzo, è un fatto ufficiale. Colpa dei critici, stampa, tribunali, famiglia e tutte le istituzioni che lo hanno sezionato, impacchettato e mandato, quasi, al manicomio». Sì, a parte tali offese un po’ stornate, il libro di Simpson resta tuttavia un’apoteosi-apologia dell’ultima pop star, l’ultima assurda incarnazione del pop inglese. Mozzer è l’anima culturale del pop in un mondo che la cultura pop ha privato dell’anima. Quando gli Smiths si sciolsero, in seguito all’uscita del chitarrista Johnny Marr dal gruppo, Morrissey – scrive Simpson – “potrà anche essere risuscitato al terzo giorno (a Wolverhampton) ed aver iniziato una carriera solista di successo, ma il pop inglese è rimasto nella tomba, si è estinto. Il fenomeno del Britpop negli anni Novanta avrà avuto dei momenti interessanti, ma di certo non ha rappresentato una resurrezione del pop inglese, è stato solo una piccola appendice degli Smiths”. Quello che emerge essenzialmente da queste pagine, scritte in modo cesellato e con ironia, è proprio l’aspetto della straordinarietà di Morrissey, della sua unicità. Uno come lui non ci sarà mai più e lui stesso ne è consapevole: «Sono un esemplare unico. Puoi odiare la mia vita per questo o puoi amare ogni parola che ho pronunciato, ma io mi sento unico, davvero. È una maledizione terribile. Mi piacerebbe potermi mescolare. C’è una gioia perversa e amara nel sentirsi unici, ma si paga un prezzo altissimo». Be’, il prezzo è la solitudine, la ghettizzazione a causa dell’invidia di molte persone che sanno che uno unico, uno che si distingue, uno superiore, può fare a meno di loro (non sarebbe mai né lo zerbino di qualcuno né tenterebbe di imitare qualcuno). E restando sul tema dell’invidia, ho scoperto, leggendo questo libro, che il rapper Eminem è stato sempre applaudito e difeso dai giornalisti britannici, nonostante le nefandezze che descrive allegramente nei suoi testi, mentre quando l’odiato “lingualunga” (da “Bigmouth strikes again”, il pezzo più famoso degli Smiths) Morrissey fu accusato di razzismo, dopo essere stato trovato in possesso di Union Jack e testi vagamente ambigui, non ci fu la fila a difenderlo, a scagionarlo (Moz ha perciò abbandonato l’Inghilterra per trovare asilo in America, dove ha tuttora grande successo). Questa comunque è una delle poche curiosità presenti in “Saint Morrissey”, non è che Simpson abbia diffuso delle notizie nuove su Moz. L’unica “sorpresa” è stata sapere, lasciandomi un po’ di amarezza, che c’è un’impressionante lista di “plagi” nei suoi testi da “Sapore di miele” di Shelagh Delaney, pièce scritta nel ‘56 e portata sul grande schermo nel ‘61 da Tony Richardson, che si aggiudicò il Bafta Award nel ‘62. Certo, ero al corrente che Moz copiava a volte da libri di autori tra cui Dorothy Parker, Oscar Wilde (del quale ha letto tutto e lo ritiene il più intelligente, colui che rendeva ogni cosa semplice), Jack Kerouac, Richard Allen, e anche da alcuni film di James Dean, ma non immaginavo che le parole prese in prestito da Morrissey fossero così tante (le frasi di Shelagh Delaney, compaiono in “Hand In Glove”, “Reeel Around Fontain”, “You’ve Got Everything Now”, “Shoplifters Of The World Unite”, “I Don’t Owe You Anything” e nella meravigliosa “Alma Matters”). È stato un po’ come avere la prova che oltre a non saper suonare Mozzer non ha nemmeno un grande talento come songwriter. Ha solo una bella voce e qualche volta sa tirare fuori dal suo genio creativo brillanti poesie. Ma forse è proprio questo l’errore: nel giudicare Morrissey tutti abbiamo torto perché lo giudichiamo dalla musica e dai suoi testi, mentre per comprenderlo e dargli meriti andrebbe considerato per la sua reale mansione, ovvero farsi portavoce di oltre due milioni di persone nel mondo che soffrono, che sono incomprese, sottovalutate, proprio come lui, con la differenza che Moz, per abilità o fortuna, ha il diritto di lamentare pubblicamente le sue afflizioni. Grazie all’esistenza di Morrissey “pop (ma anche rock) - star” i fans consolano sé stessi con l’idea del tutto infondata che il mondo premierà l’integrità. In realtà Morrissey è qualcuno solamente perchè è l’eccezione alla regola della mediocrità (mediocre secondo il giudizio degli invidiosi) e chi lo segue crede che in circostanze diverse sarebbe potuto essere al posto di Moz, diventare famoso, magari come scrittore, ed essere apprezzato. Ad ogni modo, anche se non si è famosi, ci si convince di essere, però, totalmente giusti, in quanto esiste un uomo comune, uno della working-class calpestato, a cui da anni tanta gente riconosce di essere giusto, un caso raro, come fa notare lo stesso Simpson (il quale dopo essersi “invaghito” di Moz, ha dichiarato di aver fatto ciò che chiunque farebbe in questo caso: è diventato uno scrittore): Morrissey probabilmente ce l’ha fatta solo perchè è “un uomo benedetto, un santo, un martire che sa resistere. L’unico che intercede in favore dei suoi supplicanti fans non dal cielo ma dalla sua cameretta (il luogo in cui scrive canzoni) e dal palco”. Insomma, è uno a caso scelto dall’alto, a cui per poter regalare il successo si è fatto patire troppo, esattamente come lo stesso Moz canta in “You just haven’t earned it yet baby”: «Se ti stai domando perché quando quel che volevo dalla vita era essere famoso, ci ho provato a lungo ma è andato tutto a finir male, ti dirò perché, anche se non mi crederesti, non te lo sei ancora meritato, devi soffrire e piangere per un po’ di tempo ancora». Uno a caso che, però, solo i fans farebbero santo. La Chiesa non beatificherebbe mai uno che orgogliosamente intona pezzi come “Vicar in a tutu” o versi del tipo “Passed the Church - all They want is your money”.

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