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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2014
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“<<Le trincee dove sono?>> domandò un ufficialetto appena arrivato sul San Michele. <<Trincee, trincee…>> fu la risposta laconica. <<Non ci sono mica, trincee, ci sono dei buchi.>>” Siamo abituati a leggere spesso libri di storia, magari assai validi, ma che costringono a procedere con difficoltà, per i continui richiami o rimandi, per quella meticolosa pignoleria che è propria del ricercatore, dell’uomo che cerca fra le carte un po’ più di verità. Si resta stupiti, quindi, quando ci si trova per le mani libri come La Battaglia. Storia di Waterloo, di Alessandro Barbero, oppure questo La guerra bianca, di Mark Thompson, testi che si leggono con facilità e con piacere, opere che pur essendo dei saggi storici sono scritte come romanzi, dei bei romanzi, con quella stessa scorrevolezza, capacità di ricreare l’atmosfera e l’ambientazione, con un ritmo equilibrato che quasi ti obbligano a non procedere a tratti, ma ti invitano a proseguire, ad andare avanti ai capitoli successivi per arrivare, purtroppo abbastanza presto, alla fine. E sì che il saggio di Thompson non svela nulla di nuovo, perché sulla prima guerra mondiale e, nel caso specifico, su quella che ci ha visto opporci all’Austria, in quasi un secolo hanno scritto a iosa; eppure La guerra bianca risulta di grandissimo interesse, perché l’autore, con uno stile fresco e mai greve, ci racconta tutto di questo conflitto, dalla nostra fase di non belligeranza fino alle discussioni del Trattato di Versailles, passando per le undici battaglie dell’Isonzo e anche per la dodicesima, quella della famosa ritirata di Caporetto. Considerato che l’autore è inglese temevo, a torto, il suo tono di sufficienza nei nostri confronti, ma se le sue critiche sono puntuali e forti per la condotta dei nostri comandanti, sono invece più blande, anzi direi sovente che si tratta di apprezzamenti per il comportamento dei nostri soldati, gli umili fantaccini mandati al massacro senza che loro sapessero il perché, o al più gli si diceva per liberare Trento e Trieste, località che in un Italia ben poco alfabetizzata erano ai più sconosciute. La strategia e le tattiche del comandante in capo, Cadorna, sono ben descritte ed è apprezzabile il tentativo di farne un’analisi psicologica, più che mai necessario trovandoci di fronte a un criminale che non aveva nessun rispetto per le sorti dei suoi soldati. Infatti, continuava imperterrito a concertare attacchi frontali, senza nessun senso, e nemmeno impressionato dalle ingenti perdite; del resto anche lui contribuiva direttamente af aumentare il numero dei morti, imponendo ai suoi ubbidienti sottoposti l’applicazione di condanne capitali, anche per reati di poco conto. Il soldato italiano, sotto Cadorna, era male equipaggiato, ben poco nutrito, considerato alla stregua di uno schiavo e quindi non c’è da meravigliarsi se nell’episodio di Caporetto ci furono degli sbandamenti, in buona parte giustificati dall’incapacità dei nostri generali a organizzare una difesa e spesso più lesti a scappar via; è però vero che molti reparti fecero il loro dovere fino in fondo, immolandosi sul campo per arginare l’avanzata nemica. Appaiono quindi immeritate, direi blasfeme le parole del proclama di Cadorna con il quale si scaricò dalle numerose colpe, imputando i nostri soldati di vigliaccheria, un comportamento il suo che la dice lunga sui suoi problemi mentali. Poi, sappiamo che con Diaz, forse non un grande stratega, ma comunque un abile organizzatore, le cose andarono meglio e si arrivò al trionfo di Vittorio Veneto, e con esso all’armistizio di Villa Giusti. Gli argomenti di cui ci narra Thompson sono tanti (ci sono perfino quelli dei poeti e letterati al fronte, nonché il periodo in cui gli austriaci, dopo Caporetto, imperarono su parte del veneto, con grandi tribolazioni della popolazione) e ce n’è per tutti i gusti, in ogni caso svolti in modo semplice e accattivante. A proposito del titolo questo può trarre in inganno, perché il pensiero corre immediatamente ai teatri dolomitici, come i ghiacciai dell’Adamello e della Marmolada, e invece della guerra in montagna, senz’altro meno importante, il libro ne parla assai poco, fatta eccezione per la famosa Strafexpedition, o Battaglia degli altipiani. In questo libro, invece, si tratta diffusamente della guerra combattuta sul Carso, con le sue rocce sbiancate e le montagne intorno completamente innevate in inverno. Molto opportunamente l’autore evidenzia alla fine dell’opera le fonti da cui ha attinto le notizie e non sono certo poche (un elenco di ben 18 pagine), testi i cui autori sono italiani e stranieri. Fra i primi troviamo Mario Isnenghi, uno dei nostri più noti e appezzati storici che tanto ha dissertato sul tema della Grande guerra, ma non mancano anche pubblicazioni di parti in causa, come i generali Luigi Capello e Luigi Cadorna, e fra gli stranieri un nome autorevole: Denis Mack Smith. La guerra bianca è un libro che merita ampiamente di essere letto e che consiglierei fosse adottato anche nelle scuole, affinchè gli alunni abbiano una visione realistica di quella che fu la Grande guerra, con il preciso intento di inculcare in loro la vocazione per la pace e il rispetto per la vita di ogni essere umano.
La fatica, le notti sotto la pioggia o sulle gelide nevi del Tonale e del Monte Nero. Così come i tuoni e i lampi, stavolta, dei cannoni. Mark Thompson analizza le tappe principali della Grande Guerra, vista dal fronte italiano, attraverso i soldati che l'anno combattuta. L'indifendibilità delle posizioni italiane e l'ottusità di Cadorna, ostinato in assurdi attacchi frontali: carne contro acciaio. Così fino a Caporetto. La difficile ritirata e il Piave, così come il contrattacco. L'esatta descrizione del blima politico pre-bellico, colmo di nazionalismo, fino al risentimento per la vittoria mutilata.
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