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L’affermazione vivere d’arte può essere autentica solo nel caso che alla passione corrisponda una produzione creativa degna di questo nome; attualmente si fa ampio uso ed abuso del termine artista, che ormai raramente si accosta alla più eterea delle sue versioni: a quello che per brevità chiamiamo poeta. La ragione di questo distacco tra l’artista e il poeta consiste nella qualità generalmente modesta dei contemporanei cultori del poiein, del far versi, che per paradosso si suole definir poeti in quanto autori di poesie, ma non artisti, in quanto privi di consapevolezza, ispirazione e passione. Nessun furore creativo o fuoco sacro muove i poeti di oggi verso i lidi dorati dell’arte, esenti ed ignari rispetto ad una concezione della poesia e della poetica di ampio respiro, che presupponga profondità di pensiero, amore per la ricerca, visione del mondo e dell’esser-ci in chiave heideggeriana. Nel quadro desolante della poesia oggi la silloge Sovversivi di Massimo Pistis è come un raggio di sole nell’oscurità determinata dal temporale, eccezione che smentisce con clamore la regola tutt’altro che aurea della poetica “mediocritas”! Nel caso di un non comune poeta “alla vecchia maniera” come Pistis il vivere d’arte si può e si deve intendere in accezione forte, romantica e sperimentale. Massimo Pistis esibisce fisionomia di poeta puro, di poeta assoluto; l’esperienza della poesia è parte costitutiva del suo codice genetico-esistenziale, scrivere versi per lui rappresenta una vocazione intensa, insopprimibile, come il volo per la rondine, o il canto per la cicala. Il nostro poeta sembra essere nato e vissuto per rispondere all’appello della Musa, e delle “muse” che incontra lungo il suo cammino dall’adolescenza fino a ieri. E Sovversivi sono i canti che ci lascia in dono, diversi, alternativi, difficili, talvolta ermetici e di faticosa decifrazione, ma di sicuro fascino. La straordinaria competenza linguistica di Pistis raggiunge spessissimo i vertici più elevati, senza fare apparentemente sforzi, il suo canto libero non conosce freni inibitori o limiti, si esprime in libertà producendo esiti di un’originalità probabilmente mai riscontrata in anni e anni dedicati all’attività critica. La vocazione genuina per la poesia emerge già nei primi lavori dell’adolescenza, come testimonia la lirica che apre la silloge, Senza Età: Il frastuono dei flutti è il medesimo, nondimeno le spugne sulla rena: l’aria è tersa, oggi, tra la Frasca e San Marco; la spiaggia deserta da non credere, pressoché selvaggia, non ambita. anch’io son lo stesso, sistematicamente, disteso all’ombra o al sole: la memoria scivola leggera, non ha età, pur privata dei familiari clamori attutiti dal vento e dalle onde. L’ambiente naturale apre la mente: non ho mai avuto età! Da sempre, ma ora lo so, me l’ha detto il mare […] Questa stupefacente elegia ricorda un tòpos della lirica montaliana: il Mare come spazio o scenario naturale nel quale l’io si immerge alla ricerca di sé stesso e della sua identità, che Massimo Pistis, con un’intuizione geniale, correla al fluire incessante del Tempo. (Clelia Moscariello)
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