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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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Sorta di Lessico famigliare dieci anni dopo, Caro Michele è un romanzo dai personaggi dispersi, divisi dall'incomunicabilità e destinati alla solitudine, e la scelta del genere epistolare suona provocatoria e simbolica.
«Il libro che una madre avvelenata può scrivere strappandosi di dosso i panni di madre» – Erri De Luca
«Tutte le vite che s'intrecciano in questo romanzo sono fatte di passi sbagliati. Ma a nessuno di questi sbagli si sarebbe potuta opporre una scelta giusta e nessuno di questi passi avrebbe potuto essere indirizzato verso un traguardo migliore» – Cesare Garboli
«Caro Michele»: il piú classico degli incipit epistolari è quello che Natalia Ginzburg sceglie come titolo del suo romanzo. Una madre già avanti negli anni ma ancora giovane e un figlio lontano fisicamente e ancor piú (e soprattutto) distante nelle idee, nelle esigenze, negli affetti e nei dolori. Un figlio per il quale la madre prova rancore, ma dal quale non riesce a staccarsi; e l'ultimo, irrescindibile cordone ombelicale è fatto di sole lettere. Sorta di Lessico famigliare dieci anni dopo, Caro Michele è un romanzo dai personaggi dispersi, divisi dall'incomunicabilità e destinati alla solitudine, e la scelta del genere epistolare suona provocatoria e simbolica.
Con la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia essenziale e l'antologia della critica.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
— “Io cerco di immaginarmi in un luogo o nell’altro la tua vita, però nello stesso tempo sento che la tua vita è diversa da come immagino, e così la mia fantasia è sempre più sfiduciata e più fiacca nell’intrecciare i suoi arabeschi sopra di te.” questo romanzo è, in sostanza, un lungo dialogo. o meglio: una serie di monologhi alternati, perché i personaggi parlano quasi solo attraverso le lettere che scrivono gli uni agli altri. gli intermezzi narrativi sono rari, brevi, e in stile Ginzburg: uno stile asciutto, martellante, sottile, che mi ricorda le sue pièce teatrali. nonostante tutto questo chiacchiericcio, però, appare subito evidente che questi personaggi parlano, ma non riescono a dirsi nulla. ripetutamente pronunciano le parole “pena”, “pietà” e “ipotesi”. perché quando gli sconosciuti si trasformano in conoscenti, non si può che provare pietà per le loro malinconie e la loro piccolezza; ma d’altra parte è impossibile conoscere davvero un’altra persona. possiamo solo formulare ipotesi; persino i figli, o i mariti, rimangono sempre estranei. di ognuno possiamo conoscere soltanto l'idea che ci siamo costruiti; a nostra volta, dobbiamo accettare le aspettative e l’immagine che gli altri ci hanno cucito addosso.
Adoro la scrittura della Ginzburg e in questo piccolo libro epistolare si entra nella vita dei personaggi e fa riflettere.
Recensioni
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